Tutte le discussioni con tag 'usura' - Associazione intermediari specialisti del credito (A.I.S.C.)2024-03-29T13:38:57Zhttp://mediazionecreditizia.ning.com/forum/topic/listForTag?tag=usura&feed=yes&xn_auth=noOrdinanza Cassazione n. 27442/2018 commentotag:mediazionecreditizia.ning.com,2018-11-14:5084451:Topic:253022018-11-14T06:38:01.290ZA.I.S.C.http://mediazionecreditizia.ning.com/profile/lbconsulting
<p>Cassazione civ. 3 sez Ordinanza n.27442/2018<br></br>{mora usuraria}</p>
<p>- 13 novembre 2018<br></br>La Corte di Cassazione torna ancora una volta a pronunciarsi sul tema dell'usura nei contratti bancari, pronunciandosi con l'ordinanza in commento sull’usura della mora, attraverso una puntuale ricostruzione esegetica sulla natura e funzione degli interessi di mora e degli interessi corrispettivi. <br></br>Stabilisce, quindi, che anche il tasso di mora debba essere ancorato al limite legale della…</p>
<p>Cassazione civ. 3 sez Ordinanza n.27442/2018<br/>{mora usuraria}</p>
<p>- 13 novembre 2018<br/>La Corte di Cassazione torna ancora una volta a pronunciarsi sul tema dell'usura nei contratti bancari, pronunciandosi con l'ordinanza in commento sull’usura della mora, attraverso una puntuale ricostruzione esegetica sulla natura e funzione degli interessi di mora e degli interessi corrispettivi. <br/>Stabilisce, quindi, che anche il tasso di mora debba essere ancorato al limite legale della soglia d’usura riportata dai decreti ministeriali per la categoria di credito interessata, escludendo ogni maggiorazione dei Teg e/o qualsiasi diverso criterio di confronto. <br/>Con tale assunto la pronuncia in parola viene a limitare apprezzabilmente, finanche a discostarsi sostanzialmente dal principio di omogeneità del confronto nella verifica dell’usura, stabilito dalla recente sentenza delle Sezioni Unite n.16303 del 20 giugno scorso. L’ordinanza termina con una contraddizione delle conclusioni a cui è pervenuta Nel contempo, tuttavia, contraddicendo le stesse conclusioni con l'affermazione, peraltro non oggetto di impugnazione, fuori dall’oggetto stesso dell’impugnazione, dell’inapplicabilità dell’art. 1815 c.c. agli interessi di mora usurari, discriminando gli interessi di mora dagli interessi corrispettivi, ponendosi in tal modo in contrasto con la stretta sovrapposizione di tale articolo all’art. 644 c.p. sulla quale si fonda l’altra pronuncia delle Sezioni Unite n.24675 del 19 ottobre 2017.</p>
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<p>L’ordinanza 27442 del 30 ottobre 2018.</p>
<p>Sulla base di una puntuale visitazione dei criteri di ermeneutica legale - condotta attraverso una minuziosa interpretazione sul piano letterale, sistematico, finalistico e storico - la sentenza stabilisce che il divieto di pattuire interessi eccedenti la misura massima prevista dall’art. 2 della legge 108/96 si applica sia agli interessi corrispettivi ex art. 1282 c.c., sia agli interessi moratori ex art. 1224 c.c.[1] <br/>L’ampia formulazione degli artt. 644 c.p., dell’art. 2 della legge 108/96, dell’art. 1 d.l. 394/00, dimostrano che, ai fini dell’usura, la legge non consente distinzione di sorta tra i due tipi di interessi.</p>
<p>La Cassazione ritiene di nessun rilievo la circostanza che la rilevazione da parte del MEF degli interessi medi praticati dagli operatori non prenda in considerazione gli interessi moratori, né tanto meno considera le rilevazioni campionarie della Banca d’Italia, da ultimo aggiornate e modificate (Cfr. G.U. 30 dicembre 2017, n. 303). L’art. 2.comma 1, l. 108/96 stabilisce infatti che la rilevazione dei tassi medi debba avvenire per “operazioni della stessa natura”. <br/>E non v’è dubbio che con l’atecnico titolo “operazioni” la legge abbia inteso riferirsi alle varie tipologie contrattuali. <br/>Ma il patto di interessi moratori convenzionali ultralegali non può dirsi un’”operazione” e tanto meno un tipo contrattuale. (...) E’ dunque più che normale che il decreto ministeriale non rilevi la misura media degli interessi convenzionali di mora, dal momento che la legge ha ritenuto di imporre al ministro del tesoro la rilevazione dei tassi omogenei per tipo di contratto, e non dei tassi di interesse omogenei per titolo giuridico’.</p>
<p>La sentenza rigetta altresì il reiterato riferimento alla legge contro i ritardi nel pagamento delle transazioni commerciali tra imprenditori, che prevede, come interesse legale di mora, un saggio del 9,25% che può risultare superiore alle soglie d’usura. L’art. 5 del d. lgs 231/02 fissa il saggio “legale” di mora nelle transazioni commerciali, ma lascia alle parti la facoltà di derogarvi. Se le parti vi derogano, il patto di interessi moratori non sarà più disciplinato dal d.lgs. 231/02, ma dalle restanti norme dell’ordinamento, dunque dall’art. 2 legge 108/96.</p>
<p>Richiamando infine la Corte cost. n. 29/02 e le reiterate pronunce della Cassazione intervenute nel corso degli ultimi vent’anni, si stabilisce il principio di diritto: ‘è nullo il patto col quale si convengono interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’art. 2 della l. 7.3.1996 n. 108, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali’.</p>
<p>A detto principio viene altresì aggiunta la precisazione che, in assenza di qualsiasi norma di legge, l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 legge 108/96 (tasso soglia calcolato con riferimento al tipo di contratto) e non in base ad un “fantomatico tasso” talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia’.</p>
<p>Le dotte e circostanziate argomentazioni sviluppate nel corpo esteso a tutta la sentenza, volte a confermare l’insussistenza di ogni distinzione “funzionale” fra interessi corrispettivi e moratori, vengono completamente obliterate nella parte finale, nella quale, pressoché apoditticamente viene stabilito: ‘nonostante l’identica funzione sostanziale degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, l’applicazione dell’art. 1815, comma secondo, cod. civ. agli interessi moratori usurari non sembra sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi, e considerato che la causa degli uni e degli altri è pur sempre diversa: il che rende ragionevole, in presenza di interessi convenzionali moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, attribuire secondo le norme generali al danneggiato gli interessi al tasso legale’.</p>
<p>In definitiva, mentre il divieto di pattuizione usuraria previsto dall’art. 644 c.p., integrato dall’art. 2 della legge 108/96 si estende sia agli interessi corrispettivi che agli interessi di mora, questi ultimi rimarrebbero esclusi dalla sanzione prevista nell’art. 1815 c.c.</p>
<p><br/>Premesso quanto sopra passo ad esporre i commenti alla pronuncia.</p>
<p>Il testo della ordinanza effettua una mirabile e completa ricostruzione dell'oggetto dell’impugnazione si manifesta completo, lucido, chiaro e consequenziale in tutti gli elementi propriamente attinenti l’oggetto di impugnazione, ammonendo peraltro i giudici di merito ad attenersi a tali superiori indicazioni, escludendo però alla mora l’applicazione del principio di simmetria e omogeneità stabilito dalla Cassazione S.U. 16303/18 ed evitando in tal modo quella sorte di ‘frammentazione’ della soglia,[2] esteso dalla CMS alla Mora soglia con l’adozione, anche per quest’ultima, del criterio di confronto suggerito a suo tempo dall’ABI e solo tardivamente fatto proprio dalla Banca d’Italia nella comunicazione del 3 luglio 2013.[3]</p>
<p>La menzionata sentenza delle Sezioni Unite n. 16303/18 risulta ridimensionata nel criterio di simmetria ed omogeneità che aveva indotto la Suprema Corte, per evitare l’illegittimità dei decreti del MEF, ad apprezzare, in una specifica comparazione, il valore della CMS media, inclusa, seppur separatamente dalle soglie, nei decreti stessi e nonostante che tale commissione si ponesse come elemento di costo distinto e comunque trasversale a più categorie di credito (Aperture di credito, Anticipazioni e Factoring). In questa pronuncia l’invarianza ed unicità della soglia rimane ferma sulla categoria di credito, a dispetto di ogni simmetria, omogeneità, inclusione nei decreti della mora media e della sua trasversalità applicativa.</p>
<p>Tuttavia, non può non destare serie perplessità la parte conclusiva della sentenza, con la quale viene negata alla fattispecie della mora in usura la sanzione civile dell’art. 1815 c.c. <br/>Balza agli occhi l’antinomia fra argomentazioni e conclusioni, per la manifesta contraddizione con le diffuse argomentazioni che, nella determinazione dell’usura, travalicando pur anche il concetto di assimilazione, pervengono a stabilire l’identità sostanziale degli interessi corrispettivi agli interessi di mora. <br/>Si attribuisce un rilievo determinante alla discriminazione fra interessi corrispettivi ed interessi di mora quando la stessa sentenza giudica tralatizia la distinzione della funzione remunerativa degli interessi corrispettivi dalla funzione risarcitoria di quelli moratori, distinzione valutata un “aforisma scolastico”, non giustificata sul piano storico e sistematico, ritenuta un “mantra” che “resta oscuro e serve solo ad aumentare la confusione ed a favorire l’ambiguità concettuale nonché la pigrizia esegetica”.</p>
<p>Non si vede, per altro, come l’esclusione dall’applicazione dell’art.1815 c.c. agli interessi di mora in usura possa conciliarsi con il dettato della sentenza delle Sezioni Unite n. 24675/17. <br/>In quest’ultima si precisa: ‘La ragione della illiceità risiederebbe, come si è visto, nella violazione di un divieto imperativo di legge, il divieto d’usura, e in particolare il divieto di pretendere un tasso d’interesse superiore alla soglia dell’usura come fissata in base alla legge’. Aggiunge nel proseguo: ‘Una sanzione (che implica il divieto) dell’usura è contenuta, per l’esattezza, anche nell’art. 1825, secondo comma, cod. civ. – pure oggetto dell’interpretazione autentica di cui si discute – il quale però presuppone una nozione di interessi usurari definita altrove, ossia, di nuovo, nella norma penale integrata dal meccanismo previsto dalla legge n. 108. Sarebbe pertanto impossibile operare la qualificazione di un tasso come usurario senza fare applicazione dell’art. 644 cod. pen’.</p>
<p>Alla luce di quanto asserito dalle Sezioni Unite n. 24675/17, una volta accertato il presupposto degli interessi usurari, nella nozione allargata definita dall’art. 644 c.p. integrata dal meccanismo delle legge 108/96 – indipendentemente dal fatto che siano corrispettivi o moratori – risulta automatica la sanzione dell’art. 1815, secondo comma, c.c. D’altra parte, al momento originario, l’obbligazione accessoria va considerata come un tutt’uno con la principale, fondendosi interessi corrispettivi e interessi moratori, nei possibili scenari del rapporto di credito prospettati nel contratto predisposto dall’intermediario.</p>
<p>Non si comprende come l’inconsistenza, pur riconosciuta alla diversa causa degli interessi corrispettivi e moratori, possa giustificare un’interpretazione radicalmente diversa dall’art. 1, comma 1 della legge 24/01 ‘Ai fini dell'applicazione dell'articolo 644 del codice penale e dell'articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento’. <br/>Aspetto ulteriormente ribadito dalla Corte Cost. 29/02 ‘L’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, nel precisare che le sanzioni penali e civili di cui agli artt. 644 cod. pen. e 1815, secondo comma, cod. civ. trovano applicazione con riguardo alle sole ipotesi di pattuizioni originariamente usurarie, impone – tra le tante astrattamente possibili – un’interpretazione chiara e lineare delle suddette norme codicistiche, come modificate dalla legge n. 108 del 1996, che non é soltanto pienamente compatibile con il tenore e la ratio della suddetta legge ma é altresì del tutto coerente con il generale principio di ragionevolezza.</p>
<p>Anche l’ABF, nel Collegio di Coordinamento del 16 maggio2018, dopo aver premesso che ‘La scelta di modificare anche la norma civilistica sul mutuo negando all’intermediario il diritto di trattenere gli interessi ha, all’epoca, suscitato un forte dibattito in dottrina in considerazione del fatto che la disposizione previgente stabiliva invece che gli interessi fossero dovuti nella misura legale, nel rispetto del principio della naturale fecondità del denaro. L’assenza di qualsiasi interesse nel caso di pattuizione di un compenso usurario ha tuttavia costituito oggetto di una precisa scelta del legislatore che, con questa disposizione, ha introdotto la nullità della clausola per sancire il disvalore del patto usurario’, e aver richiamato il parallelismo stabilito dalle Sezioni Unite fra l’art. 644 c.p. e 1815 c.c., stabilisce: ‘A parere di questo Collegio il riferimento esplicito all’art. 1815, secondo comma cod. civ. contenuto nell’art. 1 del D.L. n. 394/2000 e l’’inciso “comunque convenuti, a qualsiasi titolo” manifestano in modo palese la volontà del legislatore di stabilire uno stretto collegamento tra la norma civile e quella penale e, quindi, di interpretare, nella configurabilità dell’usura, il concetto di interessi in maniera onnicomprensiva, includendovi – anche ai fini civilistici - tutti i costi elencati nel 4° comma dell’art. 644 cod. pen. e cioè commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito. In presenza dell’interpretazione autentica di una norma offerta dallo stesso legislatore, l’interprete deve prenderne atto e, superati dubbi e/o perplessità, adeguarsi, essendo in tal modo precluso qualsiasi spazio per interpretazioni alternative’.</p>
<p>La sentenza ultima nella conclusione finale relativa all’applicazione dell’art. 1815 c.c. sembra contrapporsi alla giurisprudenza prevalente, condividendo con le S.U. n. 24675/17 la violazione del presidio penale, privata tuttavia della sanzione civile, che rimane inefficace, non proporzionata, né dissuasiva. <br/>Né si potrebbe ravvisare una forma di conciliazione con la pronuncia delle S.U. osservando che la sentenza in parola non si è espressa sul trattamento degli interessi corrispettivi nel caso di mora in usura. <br/>Potrebbe la circostanza leggersi nel senso che la sanzione dell’art. 1815 c.c. colpisca gli interessi corrispettivi, lasciando al danneggiato l’onere degli interessi di mora al tasso legale sul capitale da restituire; se così fosse, ma anche in caso contrario, l’aspetto andava opportunamente precisato, oltre che motivato nella distinzione.</p>
<p>La giurisprudenza in campo bancario da oltre un ventennio è attraversata da un susseguirsi di pronunce che, in breve volger di tempo, vengono modificando sistematicamente il quadro giuridico di riferimento, segnalando al di là della fisiologica evoluzione giurisprudenziale, una patologia dello jus dicere orientato ad un solipsismo giudiziario, alimentato da incertezze, conflittualità e interferenze alle quali non sempre appare contrapporsi una ferma intransigibilità. La dimensione dei risvolti economici coinvolti inducono valutazioni spurie ed estranee che spesso non si conciliano con il rigore e la fermezza dei principi giuridici.</p>
<p>La certezza del diritto e la connessa stabilità dei rapporti giuridici passa necessariamente attraverso una rafforzamento della funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, dalla quale l’operatore economico si attende una maggiore razionalità, prevedibilità ed uniformità del decidere.</p>
<p>[1] Nell’interpretazione letterale vengono richiamati l’art. 644 c.p., la norma di attuazione art. 2, comma 4 l. 108/96 e l’art. 1, comma 1 del d.l. 394/00, precisando altresì che il richiamo agli interessi pattuiti ‘a qualsiasi titolo’, rende palese l’estensione del divieto agli interessi di mora, conclusione confermata dai lavori preparatori della l. 24/01.</p>
<p>Nell’interpretazione sistematica si precisa che tanto gli interessi corrispettivi che quelli moratori sono soggetti al divieto, costituendo la remunerazione di un capitale di cui il creditore non ha goduto: nel primo caso volontariamente, nel secondo caso involontariamente. Il danno patito dal creditore d’una obbligazione pecuniaria altro non è che la conseguenza del principio economico della naturale fecondità del denaro: tanto gli interessi corrispettivi quanto quelli moratori ristorano il differimento nel tempo del godimento d’un capitale. Nell’interpretazione dell’art. 1224 c.c. il danno da ritardato adempimento d’una obbligazione pecuniaria si identifica nella perduta possibilità per il creditore di investire la somma dovutagli e trarne un lucro finanziario. Gli interessi corrispettivi e quelli convenzionali moratori presentano un’identità di funzione giuridica che ne implica l’assoggettamento al divieto d’usura. La distinzione fra funzione remunerativa dei primi e funzione risarcitoria dei secondi è una tralatizia affermazione, espressione sfuggente ed abusata che ha finito per divenire un “mantra” ripetuto all’infinito senza una preventiva ricognizione e condivisione del significato.</p>
<p>Nell’interpretazione finalistica si richiama il criterio oggettivo posto dalla l. 108/96 al duplice scopo di tutelare da un lato le vittime dell’usura e dall’altro il superiore interesse pubblico all’ordinato e corretto svolgimento delle attività economiche. Escludere il patto di interessi convenzionali moratori sarebbe incoerente in quanto condurrebbe al risultato paradossale che per il creditore sarebbe più vantaggioso l’inadempimento che l’adempimento, agevolando altresì facili pratiche fraudolenti.</p>
<p>Nell’interpretazione storica si fornisce ampia illustrazione di come la pretesa distinzione “ontologica e funzionale” tra le due categorie di interessi costituisce un falso storico, sorto ed affermatosi per fini non più attuali.</p>
<p>[2] Matematicamente se si fraziona il costo del credito nelle distinte componenti (interessi propriamente detti, CMS, mora, ecc.) e per ciascuna di esse si calcola la media nelle modalità utilizzate dalla Banca d’Italia, ne risulta una somma delle medie marcatamente più elevata, che induce un’indebita edulcorazione del presidio di legge.</p>
<p>[3] La Banca d’Italia, perseverando nel sostenere – dopo la CMS soglia - il riferimento alla Mora soglia, ha già provveduto ad aggiornare la rilevazione campionaria del valore medio della mora applicato dagli intermediari creditizi; nel Decreto del MEF, relativo ai tassi soglia del I trimestre 2018, si riporta: ‘Secondo l’ultima rilevazione statistica della Banca d’Italia d’intesa con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, i tassi di mora pattuiti presentano, rispetto ai tassi percentuali corrispettivi, una maggiorazione media pari a 1,9 punti percentuali per i mutui ipotecari di durata ultraquinquennale, a 4,1 punti percentuali per le operazioni di leasing e a 3,1 punti percentuali per il complesso degli altri prestiti’.</p>
<p>Come si è avuto modo di osservare: ‘Lo squilibrio delle prestazioni risulterà ancor più stridente con le recenti modifiche introdotte dalle Istruzioni della Banca d’Italia del 2016. Nelle nuove Istruzioni ’16, infatti, si riporta: ‘il mancato rientro di un’apertura di credito scaduta o revocata dovrà essere segnalato, dalla data di scadenza o di revoca, tra i passaggi a debito dei conti non affidati’, che corrisponde alla Categoria degli ‘scoperti di conto’.(...) Con tale modifica, introdotta a partire dal 1 aprile ’17, senza patto successivo e senza alcun riferimento all’erogazione della prestazione prevista dall’art. 644 c.p., con la scadenza del fido o con la revoca dello stesso, unilateralmente disposta dall’intermediario, in presenza di insolvenza, cioè di credito in mora, si escogita un finto momento genetico del contratto per introdurre una ‘sopravvenuta’ soglia d’usura, innalzata del 48% (dal 15,15% delle Aperture di credito al 22,45% del ‘Credito in mora’, alias ‘Scoperto di conto’, IV trim. ’17). Queste anacronistiche ‘manipolazioni’ delle Categorie, con la creazione di ‘sopravvenute’ soglie d’usura, apriranno nuovi e seriali varchi di conflittualità, risultando palmare la contraddizione con la stessa pronuncia della Cassazione S.U. n.24675/17 che ha avuto modo di stabilire: ‘Sarebbe pertanto impossibile operare la qualificazione di un tasso come usurario senza fare applicazione dell’art. 644 c.p.; “ai fini dell’applicazione” del quale, però, non può farsi a meno – perché così impone la norma d’interpretazione autentica – di considerare il “momento in cui gli interessi sono convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento”’. R. Marcelli, Usura e tasso di Mora. Sancita la verifica alla pattuizione: riflessi operativi (Cass. n. 23192/17, Cass. S.U. n. 24675/17).</p> NATURA DI ATTO AMMINISTRATIVO DEI D.M. CHE RILEVANO IL TEGMtag:mediazionecreditizia.ning.com,2018-03-20:5084451:Topic:240052018-03-20T09:33:40.897ZA.I.S.C.http://mediazionecreditizia.ning.com/profile/lbconsulting
<p>L’atto amministrativo conclusivo, ovvero il decreto ministeriale di rilevazione del TEGM, previsto nel primo comma dell’art. 2 della l. 108/1996, non ha rilevanza e scopo autonomi, ma, come detto, è destinato ad essere parte, come elemento determinante per la costruzione del termine di paragone, di una fattispecie legislativa finalizzata alla qualificazione di un determinato TEG come usurario o non usurario. <br></br>L’attività amministrativa, di cui l’atto è destinato ad essere espressione, non…</p>
<p>L’atto amministrativo conclusivo, ovvero il decreto ministeriale di rilevazione del TEGM, previsto nel primo comma dell’art. 2 della l. 108/1996, non ha rilevanza e scopo autonomi, ma, come detto, è destinato ad essere parte, come elemento determinante per la costruzione del termine di paragone, di una fattispecie legislativa finalizzata alla qualificazione di un determinato TEG come usurario o non usurario. <br/>L’attività amministrativa, di cui l’atto è destinato ad essere espressione, non implica alcuna “valutazione” e ponderazione di interessi, né, alla stregua di essi, alcuna possibilità di scelta in ordine all’agire (discrezionalità amministrativa piena): la scelta del comportamento da tenere in relazione agli interessi pubblici è stata eseguita a priori e in modo vincolante dal legislatore. <br/>L’Amministrazione non è neanche chiamata a “valutare” fatti e circostanze suscettibili di vario apprezzamento alla stregua delle conoscenze e regole tecniche e scientifiche (discrezionalità amministrativa tecnica). <br/>L’operato dell’amministrazione, come manifestato dalla norma che lo prevede, si risolve nel mero compito di “rilevare” («rileva») e, quindi, in una esecutiva attività di documentazione, in relazione alla quale gli esiti matematici richiesti dalla legge (TEGM) sono da ottenere con l’acquisizione di fatti anch’essi previsti dalla legge e verificabili in modo indubbio, in virtù di conoscenze e di strumenti tecnici di sicura acquisizione, senza possibilità di giudizio e valutazione dei fatti stessi (“accertamento tecnico”). <br/>Nel disegno della legge l’attività materiale di rilevazione è estrinsecata, delineata e costretta entro gli elementi da essa stessa esplicitati, così da essere esente da qualsiasi discrezionalità, posto che quest’ultima si manifesta unicamente quando sia da operare una “selezione” e che ciò è necessario solo quando le rilevazioni sono svolte su un “campione rappresentativo” e non anche quando lo sono sull’intero universum da valutare (ovvero l’intero delle unità statistiche le cui caratteristiche sono oggetto di interesse). <br/>Quest’ultimo caso è quello che ci interessa, perché la legge non prevede rilevazioni “a campione”, ma la rilevazione “globale” dei costi da mediare, per cui non è concepibile, prima che possibile, qualsiasi attività di “selezione” e, quindi, è esclusa in radice qualsiasi scelta discrezionale dell’operatore. <br/>Agendo sull’universum e applicando le buone regole di organizzazione delle categorie e ponderazione dei dati raccolti, non si verifica alcun “inquinamento” o “alterazione” del risultato, che essendo sviluppato su una base omnicomprensiva e totale, è pienamente rappresentativo dell’effettivo costo medio “globale” voluto dalla legge. <br/>Inquinamento e alterazione del risultato, invece, sarebbero stati immanenti se si fossero assunti altri termini di riferimento, quale, ad esempio, quello indefinito, sfuggente e opinabile del “costo normale” , la cui identificazione implica una precomprensione intrisa di valutazioni, condizionate da soggettive convinzioni, che conduce inevitabilmente a discrezionali scelte di merito per ragguagliare, a quella soggettiva definizione di “normalità”, gli elementi contenuti nell’unico universo dei costi, al fine di stabilire, appunto, se un costo del mercato legale debba considerarsi “normale” o “anormale”, “generale” o “particolare”, uti singuli o uti universi. <br/>Orbene, come si è visto, la norma penale ha ovviato in nuce a tale rischio, evidentemente incompatibile con una materia che è pervasa da inalienabili valori costituzionali. <br/>La norma delegante, quindi, indica con precisione e senza incertezze, sia il risultato tecnico da acquisire («tasso effettivo globale medio»), che gli elementi da utilizzare per conseguirlo («commissioni, [di] remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferite ad anno»): nessuna opzione valutativa è richiesta, essendo sufficiente la rilevazione di tutti gli oneri per “commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese” e l’applicazione su di essi di consolidate conoscenze di ordine tecnico (matematico-statistico), senza alcuna possibilità di scelte discrezionali, per ottenere i «valori medi corretti in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto»; quest’ultima correzione è l’unica consentita all’amministrazione e si pone a valle della rilevazione, mentre, è da osservare, nessuna simile previsione di possibili correttivi è prevista a monte della stessa. Il descritto vincolo imposto all’attività amministrativa, di poi, deve ritenersi tanto più cogente e inderogabile, in quanto contenuto, come sopra si è visto, in una norma penale “in bianco”, talché l’attività della pubblica amministrazione trova il suo confine ultimo nell’ambito di cognizioni strettamente tecniche, che, sul piano della discrezionalità, si connotano come minus rispetto alla discrezionalità amministrativa piena e come plus rispetto alla sopra identificata e illustrata fattispecie (minore) dell’accertamento tecnico, la quale ultima, quindi, è da ritenere senz’altro idonea ad integrare la norma penale. <br/>Questo tipo di atto amministrativo, naturalmente, non può mai definirsi “provvedimento amministrativo”, perché non prevede, né produce o nega unilateralmente, modificazioni giuridiche nella sfera di terzi e, tantomeno, “atto normativo”, perché non introduce nell’ordinamento precetti aventi carattere innovativo e/o volti a disciplinare in astratto una determinata materia. <br/>L’accertamento tecnico si colloca tra gli “altri atti amministrativi” e, segnatamente, tra gli “atti ricognitivi” che «presuppongono un procedimento di verificazione (costituito da un’operazione o da una serie di operazioni dirette all’apprendimento) e consistono in dichiarazioni di scienza relative a fatti constatati». <br/>Riconoscere alla pubblica amministrazione un potere discrezionale tale da spingersi sino al vaglio di quale degli elementi enunciati nella legge delegante debba considerarsi e includersi e quale non considerarsi ed escludersi per formare i singoli TEG da cumulare e mediare per ritrarre il TEGM, significa delineare una attività di ponderazione e valutazione, che travalica la mera applicazione di cognizioni tecniche e si connota come vera e propria discrezionalità di merito, idonea a incidere e modificare le scelte del legislatore primario, con conseguente altissimo rischio di incostituzionalità della previsione legislativa.<br/>Peraltro, essendo insegnamento acquisito della Corte Costituzionale, che l’interprete, trovandosi di fronte a diverse possibili opzioni cognitive, tra le quali alcune certamente conformi alla Carta, mentre altre a rischio di incostituzionalità, deve optare necessariamente per l’interpretazione costituzionalmente orientata, è evidente che l’unica lettura che si pone senz’altro al riparo da qualsiasi rilievo di legittimità costituzionale è quella, che considerata la stringente indicazione dei costi contenuta nella legge, nega l’esistenza di alcuna discrezionalità valutativa dell’amministrazione, anche solo “tecnica”.<br/>A queste stesse conclusioni, nella sostanza, è pervenuta la Suprema Corte di Cassazione, chiamata a decidere sul rispetto dell’art. 25 Cost. da parte della norma penale in bianco che sanziona l’usura. <br/>L’approdo appena raggiunto deve tener conto del rilievo secondo cui l’espressione, che si rinviene nella regola del TEG riferibile allo specifico rapporto sottoposto a vaglio di usura (comma 4 dell’art. 644 c.p.), avrebbe una intrinseca capacità espansiva e omnicomprensiva, tale da richiedere che nel calcolo siano inclusi tutti i costi comunque contemplati (art. 644, comma 1, c.p.) o, se si vuole, (art. 644, comma 4, c.p.). <br/>Quando ci si pone in questa ottica appare veramente arduo negare pari forza espansiva agli stessi elementi di costo dell’operazione finanziaria indicati dalla legge per la determinazione del TEGM (art. 644, comma 3, c.p. e art. 2, comma 1, l. 108/1996).</p>
<p>Posto che per il rinvio del primo periodo del comma 3 dell’art. 644 c.p. al comma 1 dell’art. 2 della l. 108/1996 le due norme si integrano in una unica (complessa) norma penale, l’esercizio del potere discrezionale del Ministero delegato per ridurre le voci di costo al fine della formazione del TEGM, comporterebbe un ampliamento in malam partem della fattispecie criminale ad opera della Pubblica Amministrazione, con concreti e rilevanti rischi di incostituzionalità per collisione della norma delegante con il principio di legalità e di riserva di legge dell’art. 25 Cost.<br/>Non può che pervenirsi alla conclusione che l’indicatore del TEGM deve essere formato con tutti i costi legittimi (ovviamente sono esclusi quelli usurari) del mercato legale (e non alcuni si ed altri no) applicati ai singoli contratti sussunti nelle rispettive categorie di operazioni finanziarie. <br/>Proseguendo nel percorso intrapreso, consideriamo l’evenienza che l’illegittimità dell’atto amministrativo sia dovuta ad una non consentita scelta discrezionale in ordine a quali costi considerare e quali no nella determinazione del TEGM, con esclusione di alcuni: esempio emblematico, ma se ne potrebbero scegliere molti altri per il passato, il presente e, temiamo, anche per il futuro, è senz’altro quello delle commissioni di massimo scoperto, di cui si è occupata la Suprema Corte. La questione è nota e, riportata ai suoi termini essenziali, si risolve nella mancata considerazione, da parte dei decreti ministeriali che rilevavano il TEGM e adottati sino al 2009, del costo costituito dalla c.m.s.; il medesimo costo, invece, veniva e viene computato per determinare il TEG del singolo contratto, talché, si dice, vi è inammissibile squilibrio tra i due elementi in comparazione.</p>
<p>Orbene, dati per acquisiti i presupposti che il giudice ordinario ha i medesimi poteri di sindacato di legittimità che spettano al giudice amministrativo e che un atto amministrativo di tal fatta: a) avrebbe invaso abusivamente la sfera del potere legislativo, determinando una espansione della fattispecie incriminatrice; b) avrebbe deviato, per la medesima ragione, dalle finalità per cui il potere è stato attribuito; c) avrebbe violato la norma di legge che delega l’Amministrazione alla sua adozione. Si riconoscono i tre vizi di incompetenza, eccesso di potere (sub specie di straripamento di potere), violazione di legge.<br/>In proposito si conviene che il Giudice Ordinario dovrebbe essere tenuto a disapplicare quei decreti ministeriali, con conseguente impossibilità di riconoscere la fattispecie criminale dell’art. 644 per difetto dell’elemento di comparazione fornito dal TEGM.<br/>La soluzione, pur avanzata, che il giudice, previa parziale disapplicazione dell’atto amministrativo nella parte in cui abbia omesso di considerare una determinata spesa, proceda a rideterminare autonomamente il TEGM, attingendo a rilevazioni della stessa spesa comunque ritraibili dai decreti ministeriali ed effettuando le conseguenti operazioni matematiche di raccordo, pare di ardua e problematica adozione, sol che si consideri che potrebbe così configurarsi la creazione di una norma penale del caso concreto di natura pretoria, in aperta violazione dell’art. 25 Cost.. Nell’ambito civile, dove questo impedimento non sussiste, forse la soluzione sarebbe ipotizzabile, se non altro per il pregio di scongiurare gli esiti totalmente demolitori che conseguirebbero alla disapplicazione tout court.</p> Un altro successo contro una notissima società finanziaria - Saldo e stralcio per oltre il 56% dell'importo pretesotag:mediazionecreditizia.ning.com,2017-07-31:5084451:Topic:233012017-07-31T15:35:15.852ZA.I.S.C.http://mediazionecreditizia.ning.com/profile/lbconsulting
<p><span style="font-family: 'book antiqua', palatino;">Giunti ad una transazione a saldo e stralcio con un risparmio di ben 9000 euro sui 16000 pretesi dalla finanziaria.</span></p>
<p><span style="font-family: 'book antiqua', palatino;">Il nostro assistito aveva contratto in successione due finanziamenti personali con la stessa società finanziaria e parte della provvista del secondo finanziamento era stata da essa trattenuta per l'estinzione del primo finanziamento.…</span></p>
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<p><span style="font-family: 'book antiqua', palatino;">Giunti ad una transazione a saldo e stralcio con un risparmio di ben 9000 euro sui 16000 pretesi dalla finanziaria.</span></p>
<p><span style="font-family: 'book antiqua', palatino;">Il nostro assistito aveva contratto in successione due finanziamenti personali con la stessa società finanziaria e parte della provvista del secondo finanziamento era stata da essa trattenuta per l'estinzione del primo finanziamento.</span></p>
<p><span style="font-family: 'book antiqua', palatino;">Il ricorso all'ABF è stato impostato su diverse irregolarità riscontrate, in primis sulla dimostrazione del collegamento tra i due contratti di finanziamento e quindi, dopo una complessa attività tecnica, il CTP ha sostenuto l'applicazione di interessi usurari, la violazione della normativa sulla trasparenza bancaria, la non inclusione di costi apparentemente facoltativi nel calcolo del Taeg.</span></p>
<p><span style="font-family: 'book antiqua', palatino;">La consulenza tecnica, a supporto del ricorso sottoposto all'ABF di Napoli, giungeva a determinare la pretesa bancaria gravemente viziata per aver contravvenuto la finanziaria a norme imperative quantificando l'importo dovuto a saldo dal consumatore in circa 7000 euro, al lordo degli interessi legali da calcolare ratione temporis sugli importi non dovuti rata per rata.</span></p>
<p><span style="font-family: 'book antiqua', palatino;">La società finanziaria ha contattato il consumatore quindi questa associazione e si è addivenuti anzitempo ad una transazione ottenendo lo stesso risultato che era stato di fatto richiesto all'ABF.</span></p>
<p><span style="font-family: 'book antiqua', palatino;">La società finanziaria, accortasi della fondatezza della consulenza tecnica da noi predisposta, ha voluto evitare la pronuncia dell'ABF che l'avrebbe esposta a gravi danni reputazionali oltre allo storno dell'indebito preteso.</span></p>
<p><span style="font-family: 'book antiqua', palatino;">Molti contratti, purtroppo, risultano essere viziati contravvenendo alla normativa vigente, traducendosi ciò in un costo eccessivo a carico dei consumatori e delle imprese. Quelli più avveduti lasciano analizzare i rapporti da consulenti esperti riuscendo nella stragrande maggioranza di casi ad ottenere consistenti benefici economici.</span></p>
<p><span style="font-family: 'book antiqua', palatino;">Avv. Luigi Benigno</span></p>
<p><span style="font-family: 'book antiqua', palatino;">Presidente A.I.S.C.</span></p> Tassi usurari, nuova sentenza della Cassazione a tutela del debitoretag:mediazionecreditizia.ning.com,2016-12-02:5084451:Topic:218052016-12-02T10:47:30.333ZA.I.S.C.http://mediazionecreditizia.ning.com/profile/lbconsulting
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<h1>Venerdì, 2 dicembre 2016</h1>
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<div class="itemFullText"><p>Con la sentenza n.17150 del 17.08.2016, la sezione prima della Corte di Cassazione è intervenuta, nuovamente, sulla oramai annosa questione concernente il rispetto della normativa sull'usura nei rapporti bancari di conto corrente. <br></br>La pronuncia merita approfondimento sia per i principi, in parte nuovi, sanciti in…</p>
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<h1>Venerdì, 2 dicembre 2016</h1>
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<div class="itemFullText"><p>Con la sentenza n.17150 del 17.08.2016, la sezione prima della Corte di Cassazione è intervenuta, nuovamente, sulla oramai annosa questione concernente il rispetto della normativa sull'usura nei rapporti bancari di conto corrente. <br/>La pronuncia merita approfondimento sia per i principi, in parte nuovi, sanciti in riferimento ai rapporti bancari sorti prima dell'entrata in vigore della legge n.108/1996 (ma ancora in essere a tale epoca), sia per la riaffermazione del principio della rilevabilità d'ufficio della fattispecie usuraria.<br/>Per quanto concerne la prima questione, il Supremo Collegio ha stabilito che debbano considerarsi inefficaci – con effetti ex nunc – le clausole che, ancorché contemplate in contratti sottoscritti antecedentemente all'entrata in vigore della legge sull'usura del marzo 1996, prevedano l'applicazione di tassi di interesse la cui misura risulti "oltre soglia" alla luce delle rilevazioni trimestrali operate a decorrere dal 1997. <br/>I giudici ermellini, difatti, richiamando un precedente arresto della Corte di legittimità (sezione terza, sentenza n.1689 del 2006) hanno dapprima ribadito – in termini più generali – che <>.<br/>Chiarito il principio generale, il Supremo Collegio ha poi precisato, che "in tema di interessi usurari, le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell'usura, pur non essendo retroattive, in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore comportano la inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti stessi, sulla base del semplice rilievo – operabile anche d'ufficio dal giudice – che il rapporto giuridico non si sia esaurito prima ancora dell'entrata in vigore di tali norme e che il credito della banca si sia anch'esso cristallizzato precedentemente".<br/>In sintesi, benché il legislatore – con la legge n.108/1996 e con il collegato art.1815 c.c. – abbia inteso sanzionare la volontà di imporre al debitore tassi di interesse che si rivelino usurari all'atto della loro accettazione (cosiddetta "usura originaria"), deve ritenersi – a parer di chi scrive – chela Corte di Cassazione abbia inteso ribadire che in ogni caso non possa consentirsi la concreta applicazione di un tasso di interesse usurario (cosiddetta "usura sopravvenuta").<br/>Ciò che non emerge in maniera inequivocabile dalla sentenza in commento è quale sia il tasso di interesse applicabile in sostituzione di quello divenuto usurario. Tenuto conto che forzata sarebbe l'invocazione del precetto sanzionatorio disciplinato dall'art.1815 c.c. – secondo il quale in ipotesi di pattuizione usuraria il creditore perde il diritto a vedersi pagati gli interessi (potendo pretendere la restituzione del solo capitale prestato) – il buon senso deve indurre a ritenere applicabile il "tasso soglia" in luogo di quello, maggiore, convenuto tra le parti.<br/>Il secondo importante principio ribadito dai giudici ermellini attiene alla rilevabilità d'ufficio dell'usurarietà del rapporto (quantomeno nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo). La Corte, difatti, richiamando anche in tal caso propri precedenti pronunciamenti (sezione prima, sentenza n.24483 del 2013; sentenza n.21080 del 2005) ha ribadito che <>.<br/>A parere di chi scrive, la rilevabilità d'ufficio dell'usurarietà del rapporto ha, quale diretto corollario, l'inapplicabilità del principio "iuris novit curia", principio talvolta invocato dalla giurisprudenza di merito onde rigettare la domanda attorea di accertamento dell'usurarietà del rapporto non supportata dall'allegazione dei decreti ministeriali trimestralmente emanati ex legge n.108/1996.</p>
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</div> Usura bancaria, da Tribunale di Napoli emergono nuovi orientamentitag:mediazionecreditizia.ning.com,2016-10-04:5084451:Topic:213032016-10-04T10:12:10.081ZA.I.S.C.http://mediazionecreditizia.ning.com/profile/lbconsulting
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<h1>Usura bancaria, da Tribunale di Napoli emergono nuovi orientamenti</h1>
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<li>Lunedì, 3 ottobre 2016</li>
<li> Valentino Vecchi</li>
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<div class="itemBodyWrap"><div class="itemBody gkHasAside"><div class="itemFullText"><div><br></br><div>Lo scorso 14 luglio, il Tribunale di Napoli Nord, nella persona del dr.<span> Rabuano</span>, ha emesso un’importante sentenza in tema di usura bancaria (provvedimento seguito da altro analogo del 20 settembre emesso dal medesimo magistrato)…</div>
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<h1>Usura bancaria, da Tribunale di Napoli emergono nuovi orientamenti</h1>
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<li>Lunedì, 3 ottobre 2016</li>
<li> Valentino Vecchi</li>
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<div class="itemBodyWrap"><div class="itemBody gkHasAside"><div class="itemFullText"><div><br/><div>Lo scorso 14 luglio, il Tribunale di Napoli Nord, nella persona del dr.<span> Rabuano</span>, ha emesso un’importante sentenza in tema di usura bancaria (provvedimento seguito da altro analogo del 20 settembre emesso dal medesimo magistrato) dando avvio ad un nuovo orientamento che, laddove condiviso da altri giudici, avrebbe effetti dirompenti su tutti i giudizi di tal specie. Il magistrato, difatti, ha inteso affermare il principio secondo il quale l’applicabilità, in sede civile, del disposto sancito dal secondo comma dell’all’art.1815 c.c. – secondo cui “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” – è subordinata alla prova, che resta a carico del cliente bancario, della volontà dell’istituto di credito di porre in essere una condotta usuraia ex art.644 c.c.<p>La conclusione cui giunge il giudice – peraltro ben argomentata per quanto non condivisibile – trae origine da un semplice interrogativo. Secondo il magistrato, difatti, per esprimersi sulla portata applicativa dell’art.1815 c.c., “la questione che deve essere esaminata è seil legislatore con la locuzione “Sono convenuti interessi usurari” preveda una fattispecie perfettamente coincidente sotto il profilo soggettivo e oggettivo al fatto di reato descritto dall’art. 644 co. 1 c.p. ovvero preveda una fattispecie, cioè la pattuizione di interessi usurari, che riprende esclusivamente l’elemento oggettivo del reato e, precisamente, la stipula convenzionale di interessi che superino il tasso soglia”.<br/>Il Giudice, per il quale non v’è dubbio che“tra norma penale e norma civile è riscontrabile il fenomeno del concorso reale di norme“,ha quindi deciso dirigettare la domanda attorea (senza disporre consulenza tecnica), rilevando nella fattispecie l’assenza di allegazioni di parte volte a dimostrare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato d’usura.</p>
<p><span>La tesi del magistrato alimenta molteplici dubbi</span><br/>In primo luogo, non può sottovalutarsi che l’art.1815 c.c., comma secondo, dispone la trasformazione del rapporto da oneroso in gratuito “se sono convenuti interessi usurari” e non “se sussiste il reato di usura” (e neppure “laddove sia provata la conoscenza del mutuante”).Appare pertanto evidente che la locuzione “se sono convenuti interessi usurari” esprime un diretto rimando all’art.644 c.p., 3° comma, secondo il quale “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”, senza attribuire alcun rilievo (in sede civile) all’elemento soggettivo,necessario affinché possa configurarsi il reato (penale) d’usura.<br/>Peraltro, a seguire la motivazione del Tribunale aversano, si determinerebbe un vuoto normativo che avvantaggerebbe quei mutuanti che, seppur inconsapevolmente, richiedano il pagamento di interessi “oltre soglia”: se la gratuità del rapporto dipendesse dalla volontà del mutuante di praticare usura, nessun rimedio normativo tutelerebbe il mutuatario di un contratto stipulato a tassi “oltre soglia” per semplice imperizia.</p>
<p>Del resto, appare difficile credere che il legislatore – nel riformulare (con la L.108/96) l’art.1815 c.c. – che originariamente prevedeva la riconduzione del tasso usuraio al saggio legale - abbia voluto disciplinare (in sede civile) soltanto i casi in cui l’adozione di tassi eccedenti i limiti usurai sia dipesa dalla volontà del mutuante e nonanche da mera negligenza. <br/>Ma l’interpretazione fornita dal magistrato non convince anche per ulteriori considerazioni. In primo luogo, subordinare l’applicabilità del comma secondo dell’art.1815 c.c. all’esistenza della consapevolezza del mutuante – la cui prova dovrebbe essere fornita da mutuatario – significa consentire al magistrato civile di giudicare, nei suoi profili penalistici, la condotta del mutuante ovvero imporre la posticipazione dell’azione civile agli esiti del procedimento penale (che oggigiorno difficilmente accompagna l’azione civile, essendo il mutuatario unicamente interessato al ristoro degli interessi usurai e non a sentir condannato il mutuante in sede penale), soluzioni entrambe non convincenti.</p>
<p>In ultimo, non si può non considerare quanto sia difficile (per non dire impossibile) provare la mala fede della banca: non a caso rarissime sono le condanne per usura di dirigenti bancari. Da ciò discende che, se si consolidasse il principio affermato nella sentenza in esame, si potrebbe assistere ad un “abbassamento della guardia” da parte degli istituti di credito che, consapevoli dell’estrema difficoltà di provare la volontà di porre in essere una condotta usuraia, potrebbero rendere meno rigide e rigorose le procedure di controllo – oggi adottate da tutti gli istituti di credito (benché non sempre in maniera efficace) – sul livello dei tassi di interesse praticati alla clientela.<br/>Va aggiunto che l’intendimento della nullità della pattuizione di interessi usurari come “sanzione” (non sono dovuti gli interessi legali) non porta, come conseguenza imprescindibile, quella di valutare la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’autore dell’illecito.<br/>L’ordinamento conosce “sanzioni civili” che prescindono da tale profilo: si pensi alle c.d. penalità di mora o astreintes (art. 614-bis c.p.c. e art. 114, c.p.a.).</p>
<p>Quindi,affermare l’esistenza di un“diritto delle sanzioni” ispirato a logiche penalistiche (per quanto qui interessa: all’imprescindibilità dell’elemento soggettivo) appare, allo stato, una fuga in avanti. In conclusione, la posizione assunta dal magistrato in materia di usura bancaria, al di là delle criticità evidenziate, potrebbe in ogni caso costituire un deterrente per quelle azioni giudiziarie di natura chiaramente dilatoria che – occorre ammetterlo per amore della verità – sono spesso intraprese dai clienti al solo fine di rendere meno agevole alle banche il recupero di propri crediti.</p>
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</div> Ordinanza del Tribunale di Benevento del 30/12/2015 in tema di usura nei contratti di creditotag:mediazionecreditizia.ning.com,2016-05-16:5084451:Topic:194012016-05-16T09:58:52.502ZA.I.S.C.http://mediazionecreditizia.ning.com/profile/lbconsulting
<p>Ordinanza del Tribunale di Benevento del 30/12/2015 in tema di usura nei contratti di credito</p>
<p>Il Tribunale di Benevento, in persona del G.U. Dott.ssa Antonietta Genovese ha pronunciato un’ordinanza illuminante e pienamente condivisibile nella sua motivazione giuridica nonché nella valutazione tecnica eseguita dal CTU.</p>
<p>Il momento determinante ai fini della verifica di usurarietà di un contratto di finanziamento deve essere ricondotto alla genesi del rapporto, sebbene le…</p>
<p>Ordinanza del Tribunale di Benevento del 30/12/2015 in tema di usura nei contratti di credito</p>
<p>Il Tribunale di Benevento, in persona del G.U. Dott.ssa Antonietta Genovese ha pronunciato un’ordinanza illuminante e pienamente condivisibile nella sua motivazione giuridica nonché nella valutazione tecnica eseguita dal CTU.</p>
<p>Il momento determinante ai fini della verifica di usurarietà di un contratto di finanziamento deve essere ricondotto alla genesi del rapporto, sebbene le condizioni di usurarietà siano solo potenziali evidentemente.</p>
<p>La stessa clausola di salvaguardia, pur inserita nl contratto, non escluderebbe la promessa di interessi usurari, confermando che si tratta di un reato di pericolo e per ciò stesso sanzianabile e che, come correttamente illustrato nella ctu, al tasso di mora, sebbene ricondotto al limite del tasso soglia di usura, deve essere aggiunto il differenziale tra Teg e Tan che consente il superamento della soglia determinando la sanzionabilità della promessa degli interessi usurari con la sanzione prevista dall’art.1815 cc.</p>