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Usura bancaria, da Tribunale di Napoli emergono nuovi orientamenti

  • Lunedì, 3 ottobre 2016
  •  Valentino Vecchi


Lo scorso 14 luglio, il Tribunale di Napoli Nord, nella persona del dr. Rabuano, ha emesso un’importante sentenza in tema di usura bancaria (provvedimento seguito da altro analogo del 20 settembre emesso dal medesimo magistrato) dando avvio ad un nuovo orientamento che, laddove condiviso da altri giudici, avrebbe effetti dirompenti su tutti i giudizi di tal specie. Il magistrato, difatti, ha inteso affermare il principio secondo il quale l’applicabilità, in sede civile, del disposto sancito dal secondo comma dell’all’art.1815 c.c. – secondo cui “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” – è subordinata alla prova, che resta a carico del cliente bancario, della volontà dell’istituto di credito di porre in essere una condotta usuraia ex art.644 c.c.

La conclusione cui giunge il giudice – peraltro ben argomentata per quanto non condivisibile – trae origine da un semplice interrogativo. Secondo il magistrato, difatti, per esprimersi sulla portata applicativa dell’art.1815 c.c., “la questione che deve essere esaminata è seil legislatore con la locuzione “Sono convenuti interessi usurari” preveda una fattispecie perfettamente coincidente sotto il profilo soggettivo e oggettivo al fatto di reato descritto dall’art. 644 co. 1 c.p. ovvero preveda una fattispecie, cioè la pattuizione di interessi usurari, che riprende esclusivamente l’elemento oggettivo del reato e, precisamente, la stipula convenzionale di interessi che superino il tasso soglia”.
Il Giudice, per il quale non v’è dubbio che“tra norma penale e norma civile è riscontrabile il fenomeno del concorso reale di norme“,ha quindi deciso dirigettare la domanda attorea (senza disporre consulenza tecnica), rilevando nella fattispecie l’assenza di allegazioni di parte volte a dimostrare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato d’usura.

La tesi del magistrato alimenta molteplici dubbi
In primo luogo, non può sottovalutarsi che l’art.1815 c.c., comma secondo, dispone la trasformazione del rapporto da oneroso in gratuito “se sono convenuti interessi usurari” e non “se sussiste il reato di usura” (e neppure “laddove sia provata la conoscenza del mutuante”).Appare pertanto evidente che la locuzione “se sono convenuti interessi usurari” esprime un diretto rimando all’art.644 c.p., 3° comma, secondo il quale “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”, senza attribuire alcun rilievo (in sede civile) all’elemento soggettivo,necessario affinché possa configurarsi il reato (penale) d’usura.
Peraltro, a seguire la motivazione del Tribunale aversano, si determinerebbe un vuoto normativo che avvantaggerebbe quei mutuanti che, seppur inconsapevolmente, richiedano il pagamento di interessi “oltre soglia”: se la gratuità del rapporto dipendesse dalla volontà del mutuante di praticare usura,  nessun rimedio normativo tutelerebbe il mutuatario di un contratto stipulato a tassi “oltre soglia” per semplice imperizia.

Del resto, appare difficile credere che il legislatore – nel riformulare (con la L.108/96) l’art.1815 c.c. – che originariamente prevedeva la riconduzione del tasso usuraio al saggio legale - abbia  voluto disciplinare (in sede civile) soltanto i casi in cui l’adozione di tassi eccedenti i limiti usurai sia dipesa dalla volontà del mutuante e nonanche da mera negligenza. 
Ma l’interpretazione fornita dal magistrato non convince anche per ulteriori considerazioni. In primo luogo, subordinare l’applicabilità del comma secondo dell’art.1815 c.c. all’esistenza della consapevolezza del mutuante – la cui prova dovrebbe essere fornita da mutuatario – significa consentire al magistrato civile di giudicare, nei suoi profili penalistici, la condotta del mutuante ovvero imporre la posticipazione dell’azione civile agli esiti del procedimento penale (che oggigiorno difficilmente accompagna l’azione civile, essendo il mutuatario unicamente interessato al ristoro degli interessi usurai e non a sentir condannato il mutuante in sede penale), soluzioni entrambe non convincenti.

In ultimo, non si può non considerare quanto sia difficile (per non dire impossibile) provare la mala fede della banca: non a caso rarissime sono le condanne per usura di dirigenti bancari. Da ciò discende che, se si consolidasse il principio affermato nella sentenza in esame, si potrebbe assistere ad un “abbassamento della guardia” da parte degli istituti di credito che, consapevoli dell’estrema difficoltà di provare la volontà di porre in essere una condotta usuraia, potrebbero rendere meno rigide e rigorose le procedure di controllo – oggi adottate da tutti gli istituti di credito (benché non sempre in maniera efficace) – sul livello dei tassi di interesse praticati alla clientela.
Va aggiunto che l’intendimento della nullità della pattuizione di interessi usurari come “sanzione” (non sono dovuti gli interessi legali) non porta, come conseguenza imprescindibile, quella di valutare la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’autore dell’illecito.
L’ordinamento conosce “sanzioni civili” che prescindono da tale profilo: si pensi alle c.d. penalità di mora o astreintes (art. 614-bis c.p.c. e art. 114, c.p.a.).

Quindi,affermare l’esistenza di un“diritto delle sanzioni” ispirato a logiche penalistiche (per quanto qui interessa: all’imprescindibilità dell’elemento soggettivo) appare, allo stato, una fuga in avanti. In conclusione, la posizione assunta dal magistrato in materia di usura bancaria, al di là delle criticità evidenziate, potrebbe in ogni caso costituire un deterrente per quelle azioni giudiziarie di natura chiaramente dilatoria che – occorre ammetterlo per amore della verità – sono spesso intraprese  dai clienti al solo fine di rendere meno agevole alle banche il recupero di propri crediti.

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