Crisi da Sovraindebitamento L.n.3/2012

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Crisi, aumentano i ritardi nei pagamenti. L’analisi della Bnl

Crisi, aumentano i ritardi nei pagamenti. L’analisi della Bnl

Lunedì 31 Maggio 2010 09:37
A causa della recessione in Italia le imprese private saldano i propri debiti nei confronti dei fornitori in 88 giorni, 31 in più rispetto ai concorrenti europei. Più elevato è il ritardo medio della pubblica amministrazione, pari a 128 giorni rispetto ai 67 giorni della media europea. Sono i dati relativi ai ritardi dei pagamenti nel nostro Paese resi noti dall’Istat e analizzati nel Focus settimanale del servizio studi di Bnl del 28 maggio.

Cresce anche il peso dei crediti scaduti nei bilanci delle banche

Il problema del ritardo dei pagamenti tocca anche gli istituti di credito. Alla fine del 2009 i crediti scaduti ammontavano a circa 14 miliardi di euro, dei quali poco meno di 10 miliardi di competenza dei cinque maggiori gruppi bancari. Assumendo questi ultimi come riferimento, i crediti scaduti risultano in aumento del 65% rispetto a fine 2008, con il conseguente incremento del loro peso sul totale delle attività deteriorate (all’8,6% dal 7,1% a fine 2008). L’aumento rilevato a fine 2009 è prevalentemente attribuibile all’avverso ciclo economico ma in misura limitata si deve anche alla riduzione dell’entità del ritardo considerato. In fase di definizione di Basilea 2, tenendo conto di una consolidata prassi di mercato, alle banche italiane venne accordata una deroga alla norma che qualifica come scaduti (e quindi in default) i prestiti con inadempienze di pagamento oltre i 90 giorni. La deroga (il ritardo inizia dopo i 180 giorni) ha una durata di cinque anni che scadono a fine 2011. Adeguandosi a quanto richiesto da recenti disposizioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia, le banche hanno, però, adottato già nel bilancio 2009 la più ristretta definizione di ritardo (90 giorni) per le esposizioni assistite da garanzia.

Le imprese e la Pubblica amministrazione

L’esposizione complessiva delle imprese creditrici verso la PA italiana non è nota ma ha comunque raggiunto una dimensione rilevante, soprattutto nel settore sanitario nel quale nel 2007 ha superato i 40 miliardi di euro (12 miliardi al Nord e 14 miliardi sia al Centro sia nel Mezzogiorno), con un aumento di oltre il 50% in un triennio. Il ritardo medio a livello nazionale è di 222 giorni per i farmaci e di 284 giorni per gli apparecchi biomedicali ma in quattro regioni (Lazio, Molise, Campania, Calabria) si riscontrano ritardi di 600-800 giorni mentre in altre regioni (Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige) si è al di sotto dei 100 giorni. Oltre che in campo sanitario, la lentezza dei pagamenti tocca in misura estesa anche il settore delle costruzioni. Da sottolineare, infine, che è divenuto rilevante anche l’ammontare dei debiti accumulati verso le imprese dai Comuni: si tratta di circa 16 miliardi di euro, in larga parte conseguenza dei vincoli imposti alla finanza locale dal patto di stabilità interno.

Le cause

Se da un lato l’aumento dei ritardati pagamenti della PA verso le imprese è legato al dispiegarsi della crisi economico-finanziaria, dall’altro lato il ridimensionamento del fenomeno trova in tutti i paesi il suo più serio ostacolo nella necessità di non appesantire ulteriormente la finanza pubblica. In Italia il governo ha adottato negli ultimi due anni alcuni provvedimenti che cercano comunque di attenuare il fenomeno, provvedimenti in parte appena usciti dalla fase di rodaggio e quindi di difficile valutazione sotto il profilo dell’efficacia: intervento di compagnie di assicurazione e della Sace nella prestazione di garanzie finalizzate ad agevolare lo smobilizzo, attraverso il sistema bancario, dei crediti vantati dai fornitori di beni e servizi nei confronti delle amministrazioni pubbliche; certificazione dei crediti (solo quelli vantati verso regioni ed enti locali con esclusione di quelli in campo sanitario) in termini di loro certezza, liquidità ed esigibilità, anche al fine di consentire al creditore la cessione pro soluto a favore di banche o intermediari finanziari; norme destinate ad accrescere la tempestività dei pagamenti dell’amministrazione centrale (anche in questo caso escludendo i debiti verso imprese del settore sanitario).

I provvedimenti a livello europeo

Da tempo le autorità nazionali e quelle comunitarie sono impegnate a ridimensionare il fenomeno. Nel 2000 le autorità di Bruxelles definirono una direttiva (recepita in Italia con il decreto legislativo 231/2002) che indica in 30 giorni il termine di riferimento per i pagamenti nelle transazioni commerciali, prevedendo l’applicazione di un tasso di mora in caso di ritardo (tasso di riferimento della BCE maggiorato di sette punti percentuali). La norma stabilisce, tuttavia, che il termine di 30 giorni possa essere allungato in sede contrattuale a seguito di libera negoziazione tra le parti, spostando così di fatto il termine dal quale applicare gli interessi di mora. Nel complesso, la direttiva europea del 2000 si è rivelata poco efficace soprattutto perché concepita non per reprimere il fenomeno ma per regolarne le conseguenze. Per contrastare in modo più deciso il fenomeno, alcuni paesi hanno quindi emanato nuove disposizioni. In Francia, l’articolo 21 della Loi de Modernisation de l’Economie ha fissato un limite massimo inderogabile (60 giorni dall’emissione della fattura), elevato gli interessi di mora, accresciuto le conseguenze sul terreno delle sanzioni legali (civili). La disposizione, entrata in vigore all’inizio del 2009, pur prevedendo non pochi casi di graduale applicazione, ha determinato una riduzione del ritardo medio dei pagamenti.

Una sensibile correzione dello scenario è attesa dalla nuova direttiva europea che potrebbe essere approvata dal Parlamento Europeo prima dell’estate. La nuova direttiva prevede un limite di trenta giorni al rinvio del pagamento sia nel caso dei rapporti tra privati sia nelle transazioni con la pubblica amministrazione. Nel rapporto tra privati il pagamento può essere ritardato fino a un massimo di sessanta giorni. Rispetto a quanto previsto dalla precedente direttiva, la nuova sanziona in modo molto più severo i ritardi di pagamento della pubblica amministrazione prevedendo oltre agli interessi di mora (tasso BCE maggiorato di 7 punti) anche una penale pari al 5% del valore dell’intero contratto. Della nuova direttiva le associazioni imprenditoriali contestano la possibilità concessa anche alla pubblica amministrazione di derogare dal limite dei trenta giorni per via negoziale.

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