Crisi da Sovraindebitamento L.n.3/2012

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Illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi e responsabilità dell’intermediario.

Illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi e responsabilità dell’intermediario.
La decisione del Tribunale di Lecce conferma l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’erronea segnalazione alla Centrale dei rischi – per un errore di persona la banca aveva segnalato come cattivo pagatore l’attore e non aveva provveduto alla cancellazione dopo aver accertato l’errore - costituisce un fatto illecito – ai sensi degli artt. 2043 e 2050 c.c. – che obbliga il suo autore al risarcimento del danno.
Sommario – 1. La centrale dei rischi. - 2. La natura del pregiudizio. – 3. Illegittima segnalazione e responsabilità contrattuale. – 4. Erronea segnalazione e procedimento d’urgenza.





1. LA CENTRALE DEI RISCHI
Attraverso la Centrale dei rischi la Banca d’Italia fornisce agli Enti creditizi un servizio utile alla valutazione dei rischi derivanti dal cumulo di affidamenti in capo ad un unico soggetto ; la segnalazione alla Centrale dei rischi, introducendo il nominativo all’interno di una sorta di lista nera, rappresenta infatti uno strumento per valutare l’affidabilità del cliente.
L’obiettivo perseguito è quello di contribuire a migliorare la qualità degli impieghi degli intermediari partecipanti e, in ultima analisi, accrescere la stabilità del sistema creditizio. Per far questo gli intermediari partecipanti comunicano alla Banca d'Italia informazioni sulla loro clientela e, per finalità connesse con l’assunzione e la gestione del rischio di credito, ricevono, con la medesima periodicità con cui sono raccolte, informazioni sulla posizione debitoria dei nominativi segnalati e dei soggetti a questi collegati. Considerato il carattere riservato dei dati censiti dalla Centrale dei rischi, le informazioni possono essere richieste solo nei casi in cui siano utili a fornire elementi di valutazione del merito di credito della clientela effettiva o potenziale.
Va da sé che gli intermediari sono tenuti a una puntuale osservanza delle norme che regolano il servizio e al rispetto dei termini segnaletici . A tal fine le Istruzioni della Banca d’Italia sottolineano come particolare attenzione debba essere riservata alla segnalazione delle informazioni anagrafiche della clientela. La precisa e completa comunicazione degli attributi anagrafici consente, infatti, la corretta identificazione dei soggetti segnalati negli archivi della Centrale dei rischi ed evita inesattezze nella imputazione dei rischi .
2. LA NATURA DEL PREGIUDIZIO
In prima battuta per il giudicante salentino la condotta della banca convenuta che ha erroneamente segnalato il nominativo dell’attore alla Centrale dei rischi e che, avvedutasi dell’errore di persona, non ha provveduto alla cancellazione, costituisce un fatto illecito, il quale, ai sensi degli artt. 2043 e 2050 c.c., la obbliga al risarcimento dei danni.
Trova applicazione – si legge nella parte motiva della decisione – la disciplina della legge 31 dicembre 1996 successivamente confluita nel d.lgs. 3 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) . Nel caso specifico il trattamento dei dati personali è avvenuto senza il consenso dell’interessato ed i dati trattati si sono rivelati non esatti e non prontamente aggiornati. In particolare, l’art. 18 della l. 675/1996, poi confluito nell’art. 15 del d.lgs. 196/2003, dispone che chiunque cagioni danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali, debba risarcirlo ex art. 2050 c.c. Si è detto che si tratta di una ipotesi di responsabilità oggettiva che proprio nell’ambito del trattamento professionale dei dati personali, trova piena rispondenza in considerazione del valore commerciale che tali dati hanno per gli operatori professionali in generale e finanziari in particolare.
In effetti l’art. 15 del d.lgs. 196/2003 dispone, in maniera espressa, una particolare forma di responsabilità extracontrattuale che si configura a carico di chiunque cagioni un danno ad altri per effetto del trattamento dei dati personali contenuti in una banca dati. La peculiarità della disposizione è da individuare nell’espresso rinvio all’art. 2050 c.c. che prevede la responsabilità dei soggetti nell’esercizio di attività pericolose. Dunque, il legislatore annovera espressamente il trattamento dei dati personali nell’esercizio di dette attività. La banca ha la possibilità di liberarsi dalle sue responsabilità solo ove riesca a dimostrare di avere adottato le misure idonee ad evitare il danno. Non si è mancato di evidenziare in dottrina che nell’art. 15 del d.lgs. 196/2003 manca ogni riferimento esplicito al concetto di “ingiustizia” del danno : il rinvio all’art. 2050 c.c. delinea una fattispecie di responsabilità ex delicto. Sulla scorta di questa osservazione è stato affermato che la norma sembra ritagliata su un sostrato materiale non del tutto collimante con il contesto da cui, normalmente, trae origine la vicenda di una segnalazione illegittima: ovvero quello dello svolgimento di un rapporto contrattuale, posto che la segnalazione riguarda – normalmente - un soggetto che sia cliente della banca
Affrontando in generale la problematica della segnalazione alla centrale rischi occorre comprendere, sin d’ora, se la comunicazione – da parte del segnalante - richieda o meno il consenso del cliente. Sul punto deve condividersi l’opinione di chi ritiene che il consenso non sia necessario ai fini della trasmissione dei dati in centrale.
A sostegno di questa tesi va rimarcato – in particolare – il ruolo della disciplina di settore delle Centrali pubbliche idonea a giustificare l’esimente contenuta all’art. 24 del d.lgs. 196/2003 che esclude testualmente il consenso tutte le volte in cui, come nel caso della segnalazione alle Centrale dei rischi della Banca d’Italia, si adempia ad un obbligo previsto dalla legge, da un regolamento o dalla normativa comunitaria.
Nella vicenda esaminata dal giudice salentino, tuttavia, il problema non sussiste posto che il trattamento del dato, erroneamente comunicato alle centrale dei rischi, riguardava un soggetto che non aveva alcuna relazione negoziale con la banca segnalante. L’aspetto più rilevante che la decisione in commento pone attiene, piuttosto, al profilo risarcitorio. Non c’è dubbio che la banca aveva l’obbligo di prevedere e prevenire ogni possibile danno in relazione alle caratteristiche della sua attività. Si può discutere se vi sia dunque una responsabilità da false o inesatte informazioni a fondamento del relativo obbligo risarcitorio della banca. In altri termini l’esattezza dell’informazione è la conseguenza del rispetto da parte della banca delle regole organizzative e comportamentali tese ad evitare possibili pregiudizi. Quello che non sembra azzardato rilevare è che il profilo di responsabilità emergente dall’erronea segnalazione alla centrale dei rischi lascia intravedere un irrigidimento della “presunzione di responsabilità” dell’impresa, per effetto della “oggettivazione” per via legislativa del contegno diligente della banca segnalante . Per liberarsi dalla responsabilità prevista dall'art. 2050, alla banca non è sufficiente la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma è necessaria la dimostrazione di aver impiegato ogni cura o misura atta ad impedire l'evento dannoso e quindi il pregiudizio per il danneggiato che può essere tanto patrimoniale, tanto non patrimoniale.
Nella decisione del Tribunale di Lecce si legge che l’attore, malgrado l’erroneità della segnalazione, non è riuscito a dimostrare di avere subito un danno patrimoniale. Al fine, osserva il giudice, non risultano provate conseguenze pregiudizievoli sul suo patrimonio legate all’asserito ritardo nella concessione del mutuo da parte della Banca.
In altre parole, pur rilevando l’erroneità nell’operato della Banca, non si individua ad avviso del Tribunale di Lecce – perché non provato – un danno patrimoniale . L’argomentazione della decisione è senz’altro da condividere. Come precisato dalla giurisprudenza di merito il fatto lesivo in sé è senza dubbio inidoneo a determinare un danno, non potendosi negare il probabile insorgere di un pregiudizio economicamente valutabile a carico del soggetto segnalato. E’ tuttavia necessario che il danneggiato sia in grado di dimostrare il riflesso economico “negativo” (come conseguenza della erronea segnalazione) sul suo patrimonio onde accedere al conseguente risarcimento.
Resta da affrontare la questione del risarcimento del danno non patrimoniale. Come è stato affermato di recente dai giudici di legittimità - che hanno deciso la questione riferentesi ad una erronea segnalazione alla Centrale dei rischi di una società di capitali - anche nei confronti della persona giuridica ed in genere dell'ente collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra l'immagine della persona giuridica o dell'ente, allorquando si verifichi la lesione di tale immagine. Pertanto, proseguono i giudici di legittimità, è risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi, e se dimostrato, il danno non patrimoniale costituito dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell'ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca.
Non c’è dubbio che tanto nel caso della persona fisica, quanto nel caso della persona giuridica, l’illegittima segnalazione è fonte di discredito per il “segnalato” . E in ogni caso, a prescindere dall'attività economica eventualmente esercitata dal danneggiato, si riconosce come l'illegittima segnalazione possa determinare, oltre ad un danno patrimoniale, anche una lesione di fondamentali diritti del debitore, quali quello all'immagine ed alla reputazione.
Questa prospettiva è condivisa anche dalla Corte d’Appello di Milano, secondo la quale - in caso di segnalazione erronea alla Centrale dei Rischi (in questo caso privata) - di un soggetto finanziato, che non sia operatore economico, l’intermediario finanziario è tenuto a risarcire il danno subìto dalla persona segnalata, per la lesione alla reputazione ed il conseguente patema d’animo, da quantificare in via equitativa, tenuto conto del fatto che l’archivio dei cattivi pagatori era consultabile da una cerchia ristretta di persone.
In passato, la prevalente giurisprudenza era concorde nel ritenere che in quest'ultimo genere di lesione, in caso di segnalazione illegittima, il danno fosse in re ipsa e che, pertanto, a questo titolo, il risarcimento dovesse essere accordato senza che il danneggiato avesse l'onere di fornire la prova dell'esistenza della lesione medesima.
La decisione dei giudici salentini sembrerebbe distaccarsi dal riconoscimento di un danno in re ipsa. Infatti, si evidenzia nella parte motiva, che “non si vuol significare che oggetto del risarcimento del danno sia in re ipsa” salvo poi precisare che “comunque tale prova può costituire fatto noto dal quale agevolmente risalire alla prova presuntiva del danno”. In altre parole il giudice riconosce, pur negando formalmente “la lesione in re ipsa”, che l’inserimento erroneo nell’archivio informatico accessibile da tutti gli operatori finanziari rappresenta fatto noto per la presunzione delle conseguenze dannose . Ogni qual volta emerga che la notizia lesiva risulti compresa nella banca dati della Centrale per un tempo sufficiente a consentirne la percepibilità da parte di coloro che vi hanno accesso, può ritenersi verificata la presunzione di un danno non patrimoniale in capo al segnalato. Condividendo l’opinione di autorevole dottrina , il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo con riguardo al danno da “segnalazione illegittima” e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri. E’ pero necessario che il danneggiato alleghi tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto". In altre parole il danno “puro” in re ipsa, anche alla luce delle ultime decisioni delle Sezioni Unite del 2008 (ma ancor prima con le sentenze gemelle del 2003 ) è categoria destinata alla scomparsa. Come correttamente evidenziato in dottrina, l'appiattimento nell'accertamento della sola lesione procede verso l'idea di un danno punitivo che, seppure non estraneo al nostro sistema, non appartiene alla tradizione del danno alla persona.
Il giudice, quindi, deve essere posto nella condizione di poter valutare quali siano le conseguenze della lesione che la vittima indica come pregiudizievoli, ancorché in un'area estranea al reddito e, più in generale, al patrimonio . Quindi, come il danno patrimoniale, anche il danno non patrimoniale deve essere sottoposto ad un duplice giudizio: quello che attiene alla meritevolezza dell'interesse leso, sotto il profilo della ingiustizia del danno, e quello che riguarda la sussistenza delle conseguenze di quella lesione anche attraverso l'uso della presunzione semplice che si rivela , lo strumento probatorio più adeguato per dar evidenza alle alterazioni negative della personalità del danneggiato.

In ordine alla quantificazione del danno, nell'impossibilità di determinare il "preciso ammontare" della lesione dell'interesse, il Tribunale opta per una “soluzione” equitativa. Si tratta di una scelta condivisibile stante la difficoltà – sul piano concreto - di una misurazione economica.

E’ necessario, come precisato, che nella liquidazione il giudice tenga conto della durata della segnalazione. Opportunamente il Tribunale di Lecce sottolinea la necessità di considerare il lungo lasso di tempo durante il quale si sono prodotte le conseguenze pregiudizievoli. Il dato trova conferma anche nella più recente giurisprudenza di merito , secondo la quale nel danno non patrimoniale costituito dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di specifiche categorie di essi con le quali il soggetto opera, è da liquidarsi in via equitativa ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c. tenuto conto della durata della segnalazione .
La necessità, per i giudicanti, di individuare alcuni “indici” idonei a giustificare la liquidazione evita lo scivolamento “verso forme autistiche di commisurazione del pregiudizio” , attenuando il rischio di uno scivolamento verso la figura del danno in re ipsa.
Occorre tuttavia formulare alcune precisazioni.
Nella vicenda indagata il risarcimento del danno non patrimoniale si giustifica in virtù di un’espressa previsione normativa. Si tratta di una voce di danno che aggrava la responsabilità di chi svolge attività di trattamento di dati personali e che trova il suo fondamento nel comma 2° dell’art. 15 del d.lgs. 196/2003. La presenza di un esplicito richiamo normativo emancipa da una riflessione più ampia che, inevitabilmente, le recenti decisioni delle Sezioni Unite introducono in tema di danno non patrimoniale confermando il c.d. sistema bipolare e rafforzando l’argomento costituzionale attraverso la costruzione di un concetto di ingiustizia del danno costituzionalmente qualificata . Per dirla in altri termini la risarcibilità del danno non patrimoniale, in assenza di una espressa previsione normativa, è ammessa tutte le volte in cui venga leso un diritto inviolabile della persona (art. 2 Cost.). E’ necessaria, dunque, la ricorrenza di un contra jus costituzionale, e non della lesione di un interesse giuridicamente protetto. L'art. 2059, come è stato sottolineato da attenta dottrina , non può essere interpretato come una copia dell'art. 2043 c.c.; “ne riproduce, sì, struttura e requisiti, ma esige che il bene leso sia protetto da un diritto inviolabile. Non tutti i disagi possono essere risarciti: soltanto quelli conseguenti alla violazione di un valore fondamentale” . Può discutersi se la lesione alla reputazione personale rientri a pieno titolo nel nuovo danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. Se così fosse le conseguenze dell’illecito non devono essere necessariamente stimate patrimonialmente posto che la violazione di diritti costituzionalmente protetti è di per sé idonea a comportare la nascita di un’obbligazione risarcitoria , ferma – naturalmente – la prova del danno.
3. ILLEGITTIMA SEGNALAZIONE E RESPONSABILITA' CONTRATTUALE.
Va anche evidenziato come la natura della responsabilità della banca – nell’ipotesi di erronea segnalazione alla centrale dei rischi - possa qualificarsi come contrattuale laddove sussista a monte un rapporto banca-debitore. In tal caso la giurisprudenza ha stabilito – mutuando parte delle argomentazioni della dottrina – che della violazione dei propri obblighi la banca potrà essere chiamata a rispondere per inadempimento del rapporto contrattuale esistente e delle istruzioni impartite dalla Banca d'Italia. L'interpretazione costituzionalmente orientata dall’art. 2059 c.c. consente di affermare che anche nella materia della responsabilità contrattuale è riconosciuto il risarcimento dei danni non patrimoniali. Dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l'obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale. Se, quindi, l'inadempimento dell'obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell'azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all'espediente del cumulo di azioni.
Sul piano normativo la giustificazione è nell’art. 1174 c.c., secondo cui la prestazione oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore. Come è stato attentamente sottolineato in dottrina con le sentenze del 2008 il diritto vivente recepisce una serie di indicazioni che giungono da diverse fonti. Infatti, nei Principi Unidroit relativi ai contratti commerciali internazionali 2004, all'art. 7.4.2. rubricato "Risarcimento integrale", è stabilito che "il creditore ha diritto al risarcimento integrale del danno subito in conseguenza dell'inadempimento. Il danno comprende sia ogni perdita sofferta che ogni mancato guadagno, tenuto conto dei vantaggi economici che il creditore ha ottenuto evitando spese e danni" (comma 1). Ancora: "il danno può essere di natura non patrimoniale e comprende, per esempio, la sofferenza fisica e morale" (comma 2). Analoga indicazione si riscontra nei Principi di diritto europeo dei contratti (Codice Lando), che all'art. 9:501, rubricato "Diritto al risarcimento", prevede che l'inadempimento del debitore è causa di una perdita che deve comprendere: "(a) il danno non patrimoniale; e (b) la perdita futura che è ragionevolmente prevedibile". Nella stessa direzione si pongono i "Principi di diritto europeo della responsabilità civile", i quali, dopo aver previsto che "il danno postula una lesione materiale o immateriale ad un interesse giuridicamente protetto" (art. 2:101), definendo il danno non patrimoniale, impiega una fattispecie a tal punto ampia da non escludere che la sua fonte possa essere un inadempimento.
4. ERRONEA SEGNALAZIONE E PROCEDIMENTO D'URGENZA.
Un’ultima notazione va dedicata alla possibilità per “l’erroneo” segnalato di attivare un procedimento d’urgenza, risultando l’illegittima segnalazione potenzialmente idonea a pregiudicare in modo irreparabile la sua posizione. In una recente ordinanza del Tribunale di Lecce il giudice evidenzia l’esistenza del periculum in mora” come pericolo di danno causato all’imprenditore dalla non corretta segnalazione “che mal si presta ad essere oggetto di risarcimento per equivalente, in quanto – per effetto della segnalazione – la situazione patrimoniale dei soggetti potenzialmente censiti in sofferenza potrebbe degenerare in senso negativo”. Per i giudici salentini il provvedimento d’urgenza resta l’unico strumento possibile ed idoneo a tutelare chi sia rimasto vittima di una erronea segnalazione, dall’aggravamento del tempo necessario ad ottenere una decisione sul merito a cognizione piena. L’orientamento richiamato, largamente condiviso dalla giurisprudenza prevalente, vuole scongiurare il rischio che il soggetto segnalato non riesca più ad attingere al finanziamento ed evita, al contempo, che si trovi ad affrontare nuove situazioni debitorie, determinate dal recesso di altre banche dai rapporti in corso . Si limitano, in questo modo, gli effetti pregiudizievoli di perdurante attualità e si argina una progressiva accentuazione degli stessi, il che costituisce il periculum in mora che giustifica la concessione di un provvedimento d'urgenza, consistente nell'ordine dato alla Banca di eliminare la segnalazione del credito in questione dal novero di quelli “sofferenti”.

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