Crisi da Sovraindebitamento L.n.3/2012

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Le obbligazioni subordinate

 

 

Sempre più spesso, le banche e le finanziarie propongono agli investitori italiani di sottoscrivere o acquistare obbligazioni bancarie di un tipo molto particolare: i subordinati.

 

Esiste il rischio che questi titoli vengano presentati da venditori con pochi scrupoli come normali obbligazioni, dotate di una remunerazione superiore a quella usuale, senza che venga specificato in cosa tali titoli siano particolari e a cosa si debba l’insolita remunerazione.


La caratteristica essenziale degli strumenti subordinati è che essi vengono considerati dalle banche che li emettono non come tradizionali debiti, ma come una forma di capitale azionario, cosa che permette agli istituti di credito di aumentare i propri volumi di attività.

 

Infatti, le banche centrali esigono che si rispetti un preciso bilanciamento tra rischi assunti (prestiti, investimenti, etc.) e mezzi propri (azioni+obbligazioni subordinate).

 

Al crescere delle dimensioni della banca deve corrispondere un aumento di capitale o l’emissione dei titoli di cui trattiamo.

I portatori delle obbligazioni subordinate (definite, in inglese, “bank capital” o “junior debt”) accettano di essere trattati peggio degli altri creditori (titolari di conti, depositi e altre obbligazioni), nel caso in cui l’istituto che le ha emesse si trovi in una qualche difficoltà.

 

Il caso tipico è quello dell’insolvenza e di una eventuale liquidazione.

 

In questo caso, il ricavato della liquidazione dei beni verrà utilizzato, in via prioritaria, per pagare i creditori ordinari.

Una volta che questi ultimi (tra cui si collocano i proprietari delle normali obbligazioni, chiamate anche “senior”) avranno ricevuto il 100% di quanto a loro dovuto (e solo allora), si potrà dividere il residuo tra i portatori di subordinati (tra l’altro rimborsando alcune categorie prima di altre, con un sistema che possiamo definire “a strati”).

 

Il rischio che si corre detenendo titoli “junior” è pertanto superiore alla norma e si può sicuramente affermare che, in caso di liquidazione dell’emittente (evento infausto per definizione), quanto incassato potrebbe essere anche 0, mentre il proprietario di uno strumento “senior” potrebbe recuperare qualcosa.

Ma l’insolvenza vera e propria non è l’unico rischio che si corre, come vedremo nell’articolo della prossima settimana.

C’è da dire che, in cambio del rischio, l’investitore ottiene un’interessante remunerazione, molto superiore a quella normalmente ottenibile dallo stesso debitore in versione “ordinaria”. Per di più, la storia ci dice che i tassi di insolvenza su titoli di questo tipo emessi sull’ euromercato (da istituzioni rispettabili) siano praticamente pari a zero.

 

Tuttavia, è indubbio che il settore bancario sta diventando sempre più propenso al rischio e alla redditività, avvicinandosi progressivamente agli altri settori dell’economia. Nel passato (e non solo in Italia), gli sforzi erano principalmente rivolti a preservare la solidità dell’azienda bancaria, mentre negli ultimi dieci anni, in linea con il processo di liberalizzazione dell’economia, l’enfasi è stata data ai risultati reddituali e allo sviluppo dimensionale, qualche volta a scapito dell’affidabilità dell’istituzione. Solo 10 anni fa esistevano, a livello mondiale, molte banche che venivano valutate dalle agenzie di rating al top delle loro classificazioni (rating Aaa/AAA), mentre ad oggi il loro numero si è molto ridotto, trattandosi ormai unicamente di banche nelle quali gli stati di appartenenza sono direttamente coinvolti (banche degli stati tedeschi, banche pubbliche in Francia, banche multilaterali, come BEI e Banca Mondiale, etc).

 

La famiglia dei subordinati è numerosa e si distingue per tipologie, grado di rischio e redditività (a rischio maggiore corrisponde una remunerazione maggiore).

 

I nomi che vengono usati per definire i singoli strumenti sono di derivazione inglese e comuni a tutte le istituzioni creditizie europee e dei principali paesi occidentali: Tier 1, Upper Tier 2, Lower Tier 2 e Tier 3.

Tier 1

Si tratta della tipologia più rischiosa, da assimilare ad un’azione di risparmio con dividendo/cedola definito a priori.

 

Non ha scadenza, ma l’emittente ha la possibilità di rimborsare il titolo (opzione call) di solito al decimo anno (con l’assenso della Banca Centrale) e, se non lo fa, la cedola cresce, rendendo più onerosa questa via di finanziamento.

 

La cedola è fissa o variabile fino alla call, mentre è sempre variabile successivamente.

Qualora la banca non paghi dividendo agli azionisti, la cedola viene cancellata e persa.

 

Qualora vengano realizzate perdite che mettono in pericolo la solidità della banca, il capitale nominale viene decurtato, pro-quota, di queste perdite.

In caso di liquidazione, vengono privilegiati i portatori di Tier 2 (Lower e Upper) e Tier3.

A causa della natura “ibrida” di questo titolo, che si colloca tra un’azione ed un’obbligazione, la maggioranza delle banche italiane lo considera, dal punto di vista fiscale, un titolo atipico con cedole soggette ad una ritenuta del 27% (invece del solito 12,50% ).

Upper Tier 2

Meno rischioso del Tier One, ha una scadenza di 10 anni o superiore. In caso l’emittente chiuda l’esercizio in perdita, le cedole non vengono cancellate, ma solo sospese e pagate, tutte insieme, nel primo anno che si chiuda in utile. Di solito non è prevista alcuna remunerazione o capitalizzazione per le cedole eventualmente pagate in ritardo. Il nominale può essere diminuito, in casi straordinari e più limitati che nel caso del Tier 1.

 

In caso di liquidazione vengono privilegiati i portatori di Lower Tier 2 e Tier 3.

 

Dal punto di vista fiscale, il titolo è, da alcuni, assimilato al Tier 1 (ritenuta del 27% sulle cedole), mentre altri lo considerano una normale obbligazione (imposta: 12,50%)

Lower Tier 2

La scadenza è usualmente di 10 anni, ma l’emittente può (e deve) rimborsare alla pari al quinto anno. Se la banca non utilizza l’opzione di rimborso anticipato al quinto anno, non solo la cedola viene aumentata in modo consistente, ma l’emittente viene anche penalizzato dalla sua banca centrale.
Le cedole, variabili o fisse, vengono sempre pagate alla data prefissata; sono bloccate solo in caso di una vera e propria insolvenza.

 

Il capitale non subisce decurtazioni, se non in caso di liquidazione della banca.

Si tratta del meno complicato e rischioso dei subordinati, ma, proprio per questo, molto soggetto ad essere venduto come una normale obbligazione “senior” da parte di “venditori” non trasparenti.

 

In caso di liquidazione dell’emittente, questo strumento viene preferito ai Tier 1 e Upper Tier 2, trovandosi allo stesso livello dei Tier 3.
Il rendimento di mercato per nuove emissioni è pari al tasso IRS/Euribor a 10 anni maggiorato di un margine compreso tra 0,40 e 1,10%, in dipendenza della qualità dell’emittente.
La tassazione è quella ordinaria delle obbligazioni (imposta sostitutiva del 12,5%).

Tier 3

E’ una tipologia molto recente ed ancora relativamente poco sperimentata. Invece di servire agli istituti di credito per accrescere il proprio volume di attività genericamente inteso, va ad aumentare unicamente la capacità operativa nell’area del trading sui mercati finanziari. Di solito, la sua emissione viene raccomandata dalla banca centrale agli operatori particolarmente attivi nel mercato dei capitali.
La scadenza è breve (2-4 anni), la remunerazione di solito in linea con il Lower Tier 2 (che però ha sempre una scadenza superiore).

Il pagamento del capitale e delle cedole può essere sospeso (non cancellato), su disposizione della banca centrale, in caso di indebolimento eccessivo della solidità dell’istituto.
In caso di liquidazione dell’emittente, viene preferito ai Tier 1 e Upper Tier 2, trovandosi allo stesso livello dei Lower Tier 2.
La tassazione è quella ordinaria delle obbligazioni (imposta sostitutiva del 12,5%).

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