Crisi da Sovraindebitamento L.n.3/2012

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Tasse sui ricchi, Italia superata solo dall'Olanda


di Franca Deponti




In effetti Mr Obama ha più di una ragione a voler alzare l'asticella del prelievo sui super ricchi d'Oltreoceano. Niente di personale, ma visto dalla sponda europea il sistema di aliquote Usa sembra il paese del bengodi: nemmeno con il minacciato inasprimento un americano verserà mai al fisco quanto il suo analogo olandese o – in seconda posizione assoluta – italiano.

Per un single con 350mila euro di reddito e un patrimonio da un milione l'appuntamento con le tasse costa 105.863 euro negli States contro i 176.109 di Amsterdam. E quando ci si ferma a Roma (o meglio, nell'ipotesi in pagina, a Milano) la cifra si attesta a 150.025, contributo di solidarietà compreso. Un buon 50% in più.

Fisco italiano "carissimo", dunque. Ma mentre nella piccola Olanda i contribuenti con oltre 100mila euro di reddito lordo sono 883mila, i confratelli nostrani si fermano a 394.237 mentre a Londra – dove il contribuente dell'esempio versa pochi spiccioli in meno che da noi – sopra la soglia si contano ben 716mila persone.

Prelievo troppo elevato, troppo sparuta la platea dei pagatori benestanti. Un dilemma, quello italiano – complice il nostro altissimo tasso di evasione – che si incunea nella più generale "caccia" ai fondi che vede molti governi occidentali impegnati allo spasimo per far quadrare i conti e difendersi dai rischi dei mercati. E se recuperare risorse è il diktat, «che i ricchi paghino» pare uno dei leit motiv. Con ricette diverse.

La sfida Usa l'ha lanciata in pieno agosto Warren Buffet, "oracolo di Obama", speculatore e magnanimo donatore di fondi che in verità ha preso di mira i paperoni autentici: chi guadagna dal milione di dollari annuo in su dovrà versare come i dipendenti del ceto medio-alto: il 35% e domani, forse, il 39,5%. Cosa che oggi non accade perché in genere si tratta di forti investitori con introiti da capital gains tassati al 15%. E il Presidente Usa ha raccolto l'invito e l'ha inserito in un piano di risparmi per 4.400 ... ... miliardi di dollari in dieci anni.

Sempre in agosto, Luca Cordero di Montezemolo ha proposto l'idea di una patrimoniale sulle fortune contate in milioni di euro al posto del contributo di solidarietà voluto dalla manovra di Ferragosto. Di lì la discussione sulle tasse dei "ricchi" ha continuato a rilanciarsi da un Paese all'altro. In Francia 16 super big hanno stilato un appello di salvezza delle casse nazionali («Tassaci» è stato l'invito a Sarkozy) chiamando i loro pari a metter mano al portafoglio. Detto e fatto, l'esecutivo ha varato un contributo straordinario pari al 3% sui redditi superiori ai 500mila euro; "dimenticandosi", però che appena lo scorso luglio aveva alzato la soglia di esenzione dalla patrimoniale da 800.000 a 1.300.000 euro abbassandone contemporaneamente le aliquote. A inizio settembre, invece, gli inglesi abbienti hanno rilanciato forte e chiaro il proprio «no» all'aliquota massima dal 50% varata nel 2010 per i redditi oltre le 150mila sterline e pagata da circa 320mila contribuenti, l'1% del totale.

Da noi, ora che il prelievo extra sul ceto medio-alto è in vigore e il governo Berlusconi potrebbe presto dover affrontare una nuova robusta correzione dei conti, l'ipotesi di introdurre una patrimoniale sembra rafforzarsi. Si è parlato di un nuovo prelievo da far scattare a partire da 1,2 milioni di euro di patrimonio. E caute aperture sono giunte anche da Confindustria «purché non sia una misura spot, ma inserita in un disegno di riforma» che contemporaneamente abbatta il prelievo su imprese e lavoro.

(ANSA) - ROMA, 25 SET - Dall'inizio dell'anno il costo del denaro per le imprese agricole e' praticamente raddoppiato per effetto della crisi che ha ridotto la liquidità delle banche ed inasprito le condizioni per la concessione del credito. E' quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla situazione creditizia in agricoltura dove i tassi dal 3 per cento di inizio anno sono arrivati a toccare il 6 per cento.

 

(ANSA) - WASHINGTON, 25 SET - La Grecia non e' il ''capro espiatorio'' dell'Area dell'Euro. Insomma ''non e' il problema centrale'' anche perché  possiede ''solo il 3 per cento del debito pubblico della zona''. E' quanto afferma il ministro delle Finanze greco, Evangelos Venizelos parlando a Washington.    Il Paese, ha assicurato Venizelos, e' ''pronto a prendere le iniziative necessarie, qualsiasi costo politico questo richiedano''.

 

(ANSA) - WASHINGTON, 25 SET - La Grecia non e' il ''capro espiatorio'' dell'Area dell'Euro. Insomma ''non e' il problema centrale'' anche perché  possiede ''solo il 3 per cento del debito pubblico della zona''. E' quanto afferma il ministro delle Finanze greco, Evangelos Venizelos parlando a Washington.    Il Paese, ha assicurato Venizelos, e' ''pronto a prendere le iniziative necessarie, qualsiasi costo politico queste richiedano''.

 

MILANO - Un maxi piano da tremila miliardi per salvare l'euro ricapitalizzando le banche e dando più risorse al fondo salva-stati in modo da consentire un default della Grecia sui suoi debiti, mentre cresce l'attesa per la riapertura dei mercati in una settimana che si annuncia cruciale sia per Atene sia per la zona euro.


Secondo il Sunday Times, i paesi del G20 hanno discusso un nuovo schema, che potrebbe essere presentato a giorni, mirato a salvare l'euro e la cui introduzione è stata sollecitata anche da Stati Uniti, Cina e Fmi. Il primo passo del maxi piano d'emergenza rivelato dal settimanale britannico dovrebbe essere una sostanziale iniezione di capitali in almeno 16 banche europee. Secondo gli analisti il conferimento potrebbe riguardare capitale "di contingenza", vale a dire riserve che potrebbero essere utilizzate solo in caso di bisogno.

A quel punto, essendo stato approntato un sostegno alle banche, la Grecia potrebbe andare in default, vale a dire in stato d'insolvenza sui propri debiti: sarebbe stato risolto così uno dei principali ostacoli che impediva ai politici europei di avallare un default di Atene a causa della loro preoccupazione per l'impatto sulle banche continentali - a partire da quelle francesi - che detengono miliardi di euro di titoli di stato ellenici.


Secondo fonti a Washington, citate dallo stesso Sunday Times, sarebbe inoltre probabile che il fondo salva-stati Efsf riceva risorse aggiuntive e venga anche dotato della possibilità di attingere a finanziamenti sul mercato allo scopo di aumentare la sua capacità d'intervento con un costo complessivo dell'intero piano che si aggirerebbe sui 3mila miliardi di euro.


La notizia sul nuovo piano giunge dopo le pressioni pubbliche da parte del segretario al Tesoro Timothy Geithner che sabato ha messo in guardia 1 dalla "minaccia di default a cascata, corse agli sportelli e rischi catastrofici che devono essere levati dal tavolo, perché in caso contrario tutti gli altri sforzi saranno minati, sia all'interno dell'Europa che a livello globale".

Ma le attese sono anche concentrate sulla Banca Centrale europea, che potrebbe annunciare ulteriori misure per facilitare l'accesso delle banche alla liquidità, a partire da un taglio d'emergenza dei tassi.


Di certo, non c'è tempo da perdere, nemmeno per l'Italia, come hanno avvertito da Washington nelle ultime ore anche le due principali banche italiane, Unicredit e Intesa Sanpaolo che figurano anche nel ristretto gruppo dei principali istituti di Eurolandia. "L'Italia - ha spiegato l'ad di Unicredit Federico Ghizzoni - in questo momento è  percepita come un'area di massima attenzione. E' ovviamente un  paese molto importante, non solo in Europa ma anche al di fuori. La crisi finanziaria ci ha colpito, lo sappiamo tutti, più di altri paesi, ed è importante soprattutto agli occhi di altri operatori americani, ma anche  europei, che l'Italia nell'ambito del problema europeo a sua volta prenda  delle decisioni rapide sul debito e sul rilancio del paese. Ho trovato molta  attenzione e per certi versi molta preoccupazione verso l'Europa e in parte anche verso l'Italia".


Come può recuperare l'Italia? "La decisione - ha detto il ceo di Intesa Sanpaolo Corrado Passera - è nelle mani del Parlamento e del presidente della Repubblica. Certamente questo è un momento in cui un governo capace di fare un piano che riesce a mettere insieme le parti sociali, che riesce a far condividere a un paese sacrifici di breve termine per benefici di lungo periodo ovviamente sarebbe più adatto. Però quale sia, se questo governo o un altro o come fatto non sta noi a dirlo. Certo sarebbe necessaria una gestione complessiva più efficace di quella che è stata negli ultimi tempi".

Un banco di prova per rassicurare i mercati

di Riccardo Sorrentino

Il giorno chiave sarà il 29 settembre. È previsto per giovedì prossimo il voto al Bundestag sul fondo di salvataggio europeo Esfs. Non sembra a rischio l'approvazione, ma l'appuntamento rappresenterà comunque una svolta importante.

Altri paesi devono ratificare l'accordo sull'Efsf, ma è in Germania il cuore del problema. Soprattutto se si pensa che occorre rendere più sereni i rapporti tra l'Europa, la politica dei singoli stati e i mercati, troppo spesso sballottati da un'incertezza alimentata, invece che stemperata, dalla politica.

È innegabile, infatti, che le mille voci dissonanti provenienti dal mondo politico tedesco in questa fase sono anche legate al rapporto con l'opinione pubblica interna. Dopo il voto l'ampio dibattito non si esaurirà: potrebbe persino entrare in fibrillazione l'attuale maggioranza tra cristianodemocratici e liberali; ma almeno la discussione sul fondo potrà forse entrare in una fase in cui le questioni tecniche avranno un peso un po' più forte rispetto alla retorica di chi cerca - legittimamente - di aumentare i consensi.

 

Una cosa non va persa infatti di vista: è un bene che l'Efsf parta, e presto. La Banca centrale europea non vede l'ora, e giustamente, di liberarsi dal compito ingrato di dover far pesare sul suo bilancio gli acquisti di titoli spagnoli e italiani, una funzione destinata al nuovo fondo. Il problema non è solo (e forse non è tanto) il fatto che queste operazioni possono interferire con la politica monetaria, che in questa fase è di nuovo "espansiva", quanto perché la sua azione può generare moral hazard nei governi.

È sugli esecutivi, e non sulla banca centrale, che deve ricadere la responsabilità di questi interventi (pur sottoposti al vaglio tecnico della Bce), ed è infatti ai governi che farà capo l'Efsf. Con tutte le cautele del caso - il voto a maggioranza, per esempio - che non eliminano però la necessità dei paesi in difficoltà di coordinarsi con i partner, i loro popoli, i loro contribuenti. Sarà anche più chiaro che le risorse non sono infinite, anzi potranno persino risultare scarse di fronte ai compiti del nuovo fondo, che dovrà anche prestare denaro ai governi in difficoltà.

È evidente che, soprattutto in questa fase, il desiderio del rigore non deve prevalere sul compito pragmatico di salvare il progetto dell'Unione monetaria e le sue economie. È il presupposto per costruire - come si sta già tentando di fare - un sistema con una maggiore disciplina (e anche un migliore equilibrio). È però una buona regola della politica economica avere strumenti e responsabilità diverse per obiettivi differenti.
Ai governi tocca la politica fiscale, dunque, e quindi i salvataggi dei paesi, che richiedono di imporre ai partner condizioni che solo i governi possono definire. Alla banca centrale tocca invece la politica monetaria. Mescolare ruoli e responsabilità non è
mai sano.

Borsa/ Europa vira in positivo. Londra debole, Milano la migliore

Fste100 -0,08%, Dax30 +1,84%, Cac40 +1,37%

Roma, 26 set. (TMNews) - Dopo un avvio in negativo le principali Borse europee virano in positivo con l'eccezione di Londra ancora debole poco sotto la parità. Alle 11 il Cac40 parigino guadagna l'1,37% a 2.848,65 punti, il Dax30 a Francoforte sale dell'1,84% a 5.292,03 punti mentre il Ftse100 a Londra cede lo 0,08% a 5.062,61 punti.

Intanto piazza Affari si conferma la migliore Borsa del Vecchio Continente con il Ftse All share che guadagna il 2,57% a 14.838,31 punti e il Ftse Mib che si apprezza del 3,04% a 14.080,14 punti
 

Crisi/ Standard&Poor's taglia rating a 11 enti locali e Regioni

Da 'A+' ad 'A'. Mantenuto outlook negativo

Roma, 26 set. (TMNews) - Standard & Poor's ha abbassato il rating di lungo termine di 11 enti locali italiani portandoli da 'A+' ad 'A' mantenendo al contempo l'outlook negativo.

L'agenzia di rating, secondo quanto riporta una nota, ha tagliato il suo giudizio su: Bologna, la provincia di Mantova, la regione Marche, la provincia di Roma, la regione Sicilia, la regione Emilia Romagna, la regione autonoma del Friuli-Venezia Giulia, Genova, la regione Liguria, Milano e la regione Umbria. Allo stesso tempo Standard & Poor's ha rivisto l'outlook da stabile a negativo e ha confermato il rating 'A' sul debito di lungo termine della città di Torino.

L'agenzia ha inoltre abbassato i rating di lungo termine da 'A+' ad 'A' e ha mantenuto l'outlook negativo sui bond emessi dalla regione Umbria con scadenza 2017, 2018 e 2019, e dalla regione Marche con scadenza al 2018, e dei titoli emessi dalla regioni Sicilia con scadenza 2016.

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