La trasmissione della crisi finanziaria globale all’economia italiana. Un’indagine controfattuale, 2008-2010
Michele Caivano, Lisa Rodano, Stefano Siviero, aprile 2010
La recessione mondiale innescata dalla crisi finanziaria si è ripercossa con straordinaria violenza sull'attività economica dell'Italia. Qual è stato il contributo dei diversi canali mediante i quali la crisi si è trasmessa alla nostra economia? Quali sono stati gli effetti delle reazioni delle politiche economiche?
Per dare risposta a questi interrogativi, in questo lavoro viene realizzata un'indagine controfattuale dell'evoluzione dell'economia italiana nell'arco temporale 2008-2010, esplorando scenari coerenti con l'ipotesi di "assenza di crisi". Si valuta che gli eventi seguiti alle turbolenze finanziarie abbiano sottratto 6,5 punti percentuali alla crescita del PIL nel triennio. In particolare, i fattori di crisi avrebbero gravato per quasi 10 punti percentuali, prevalentemente nel 2009; le politiche economiche e gli stabilizzatori automatici ne avrebbero mitigato l'impatto per circa 3,5 punti percentuali.
La maggior parte degli effetti della crisi sarebbe attribuibile all'evoluzione del contesto internazionale; un ruolo meno rilevante, sia pure non trascurabile, avrebbero avuto il peggioramento delle condizioni di finanziamento delle imprese e la crisi da sfiducia che si è accompagnata alla recessione.
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all’eccezionale contrazione del prodotto registrata nel nostro paese tra il 2008 e il 2009.3 A fronte
dell’impatto dei fattori di crisi, il lavoro considera anche il contributo, di segno opposto, delle reazioni
(automatiche ovvero discrezionali) delle politiche economiche.
Nel dibattito sviluppatosi in Italia dall’avvio della fase più acuta della crisi si è sostenuto che il nostro
paese sarebbe stato colpito in misura relativamente meno intensa rispetto alle economie nelle quali la
crisi ha avuto origine, in ragione della solidità del suo sistema bancario, dei bassi livelli di indebitamento
delle famiglie e della sostanziale assenza di fenomeni di sopravvalutazione delle attività immobiliari.
I risultati di questo lavoro corroborano solo in parte questa convinzione: sebbene la minore vulnerabilità
del nostro mercato creditizio abbia effettivamente consentito di contenere l’impatto della crisi finanziaria,
l’economia italiana è tra quelle che maggiormente hanno risentito della recessione globale, che
ha determinato un crollo delle nostre esportazioni senza precedenti, di gran lunga superiore a quello del
commercio internazionale; a dispetto della tenuta del sistema bancario nazionale, inoltre, l’incremento
del costo del credito e la rarefazione dei flussi di finanziamento verso le imprese hanno contribuito in
misura non del tutto trascurabile, anche se pur sempre relativamente contenuta, alla caduta del prodotto
nel corso del 2009.
La misurazione del ruolo svolto dai diversi fattori nel veicolare le conseguenze della crisi globale sulle
principali variabili macroeconomiche italiane è stata effettuata per mezzo di una serie di simulazioni
controfattuali. Sono state cioè ricostruite, con l’ausilio del Modello econometrico trimestrale della Banca
d’Italia (METBI),4 diverse “controstorie”, ciascuna delle quali mira a simulare quale sarebbe stata
l’evoluzione delle principali variabili macroeconomiche del nostro paese nell’ipotesi che si fossero verificati
─ per alcuni fattori identificati a priori come particolarmente rilevanti nel determinare
3 L’identificazione delle cause, da quelle immediate a quelle più remote, della crisi finanziaria prima e della recessione
mondiale poi, ha già generato una vasta letteratura, che si è posta da subito finalità non solo positive, ma anche esplicitamente
normative. In alcuni, pochi casi, i fattori di vulnerabilità alla base della crisi erano stati riconosciuti già con alcuni
anni di anticipo rispetto ai primi segnali di tensione nei mercati dei mutui sub-prime negli Stati Uniti. Cfr. per esempio Rajan
(2005), Borio (2004), White (2006), Roubini (2006). Parallelamente alla ricerca postuma delle cause più o meno profonde
della crisi, ci si è chiesti perché gli elementi di vulnerabilità dell’economia mondiale, in particolare delle istituzioni
che regolano i mercati finanziari, non fossero stati identificati per tempo e opportunamente corretti; perché l’incubazione
della crisi finanziaria non fosse stata preventivamente riconosciuta; perché la gravità della conseguente recessione non fosse
stata correttamente anticipata. Su questi aspetti e sull’ampio, a tratti feroce, dibattito che si è aperto sul ruolo e le responsabilità
degli economisti e del pensiero economico, si vedano tra gli altri Draghi (2009), Spaventa (2009) e Visco (2009).
4 Il modello econometrico trimestrale della Banca d’Italia è attualmente una versione aggiornata di quello sviluppato
nella prima metà degli anni ottanta da un gruppo di economisti del Servizio Studi della Banca d’Italia, coordinato da Ignazio
Visco con la consulenza di Albert Ando. Il modello contiene circa 800 equazioni, di cui quasi 100 stocastiche, con una specificazione
articolata dei diversi settori dell’economia italiana. I principali meccanismi che governano l’evoluzione delle
principali variabili sono keynesiani nel breve periodo ─ in cui l’andamento dell’attività economica è determinato principalmente
dall’evoluzione della domanda aggregata ─ e neoclassici nel lungo periodo ─ in cui la crescita economica è il risultato
della dinamica dell’accumulazione di capitale, della produttività e della popolazione. Per maggiori dettagli circa la specificazione
e le proprietà del modello cfr. Banca d’Italia (1986) e Busetti, Locarno e Monteforte (2005).
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l’evoluzione dell’economia italiana dopo l’estate del 2007 ─ sviluppi diversi da quelli effettivamente
osservati. In particolare, le controstorie puntano a riprodurre, per ogni dato fattore o insieme di fattori,
sviluppi tali da configurare una situazione di “assenza di crisi”.5 La differenza tra ciascuna di quelle
simulazioni e gli effettivi andamenti storici fornisce quindi una misura del ruolo giocato dai vari canali
nel contribuire alla trasmissione della crisi all’economia italiana.
I principali fattori sottostanti agli sviluppi dell’economia italiana tra il 2007 e il 2010 sono stati raggruppati
in cinque gruppi distinti:6
1) andamenti delle principali variabili internazionali (“crisi importata”);
2) condizioni di finanziamento di famiglie e imprese (“fattori finanziari interni”);
3) riduzione del valore della ricchezza finanziaria detenuta dalle famiglie italiane (“effetti ricchezza”);
4) caduta delle principali componenti di domanda non direttamente riconducibile all’evoluzione
delle rispettive determinanti (“crisi da sfiducia”);
5) azione di contrasto da parte delle politiche fiscali e monetarie (“misure di politica economica”; le
valutazioni riportate nel lavoro includono sia gli effetti dovuti all’operare degli stabilizzatori automatici
e alla normale risposta delle autorità di politica economica a un indebolimento del ciclo,
sia, per quanto possibile, quelli derivanti da eventuali interventi aggiuntivi di carattere discrezionale
posti in essere per arginare gli sviluppi particolarmente negativi osservati nel triennio 2008-
2010).
I principali risultati che emergono dalla nostra esplorazione di scenari controfattuali sono i seguenti:
· nel triennio 2008-2010, si può stimare che il contributo dei diversi fattori attraverso i quali la crisi
si è ripercossa sull’economia italiana (punti 1)-5) qui sopra) ammonti a una compressione
complessiva del prodotto dell’ordine di quasi 10 punti percentuali; si valuta che oltre due terzi di
quella compressione si siano verificati nel 2009. Tali stime rafforzano ulteriormente la valutazione,
formulabile già sulla base di sommari raffronti storici, che la recessione sperimentata negli
ultimi anni sia stata un fenomeno eccezionale per dimensione, rapidità, concentrazione nel tempo;
5 La definizione degli andamenti corrispondenti alla situazione di “assenza di crisi” è ovviamente non priva di margini
di arbitrarietà. Le scelte da noi operate sono illustrate e motivate nel dettaglio nel Par. 3.2; alcune considerazioni generali
sull’utilità dell’analisi controfattuale e sui suoi limiti vengono svolte nel Par. 3.1.
6 Poiché l’anno finale dell’indagine è ancora in corso e quindi, ovviamente, non si dispone ancora, per tale anno, di
informazioni complete, si è ipotizzato che l’evoluzione effettiva delle principali variabili economiche risulti ex post in linea
con il quadro previsivo pubblicato nel Bollettino economico della Banca d’Italia del gennaio 2010, predisposto con il medesimo
modello impiegato per le simulazioni controfattuali qui presentate. L’estensione dell’analisi al 2010, anno per il quale
si prevede una parziale ripresa, consente di non restringere la visuale alla sola fase discendente del ciclo.
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· a tali effetti negativi si contrappone uno stimolo di segno opposto, ascrivibile agli interventi di
politica economica (monetaria e fiscale) e agli stabilizzatori automatici,dell’ordine di 3,5 punti
percentuali;
· tra i diversi fattori di crisi, i più rilevanti appaiono essere quelli legati all’andamento delle variabili
internazionali; in particolare, si stima che, per circa tre quarti, la crisi sia stata “importata”;
· i “fattori finanziari interni” avrebbero contribuito in misura relativamente contenuta, ma non del
tutto trascurabile, alla contrazione del prodotto (intorno a 1 punto percentuale alla fine del 2009,
a mezzo punto alla fine del 2010);
· di dimensioni analoghe al precedente sarebbe stato il contributo, sempre negativo, degli “effetti
sfiducia”, riconducibili a una reazione degli agenti economici (famiglie, imprese) al peggioramento
ciclico eccessiva rispetto a quanto coerente, secondo le stime incorporate nel METBI, con
gli andamenti delle determinanti fondamentali ─ e quindi dettata più da un timore, non pienamente
giustificato, di peggioramenti futuri delle condizioni economiche che dal loro effettivo andamento;
· si stima infine che l’evoluzione dei prezzi delle attività finanziarie detenute dalle famiglie (tendenzialmente
in forte flessione sino ai primi mesi del 2009, in rapido recupero successivamente)
abbia svolto un ruolo pressoché trascurabile.
Il lavoro è organizzato come segue. Nel Paragrafo 2 viene brevemente tratteggiata l’evoluzione della
crisi all’esterno e all’interno del nostro paese, ripercorrendone le tappe principali. Il Paragrafo 3 si apre
con una discussione delle potenzialità dell’analisi controfattuale e delle critiche che le sono state rivolte;
vengono poi descritti in dettaglio i canali di trasmissione della crisi considerati in questo lavoro, motivando
le scelte operate nel disegnare le simulazioni impiegate per valutare, per ciascun canale, che
cosa sarebbe successo qualora quel particolare meccanismo non avesse contribuito a diffondere gli impulsi
recessivi all’economia italiana; Nel Paragrafo 4 vengono riportati e discussi i risultati delle analisi
controfattuali e le interpretazioni della crisi che i risultati paiono supportare. Il Paragrafo 5 svolge alcune
brevi considerazioni conclusive e suggerisce possibili estensioni future dell’analisi. Il lavoro include
inoltre quattro appendici. I modelli ausiliari impiegati per disegnare gli andamenti controfattuali delle
variabili internazionali e dei tassi di interesse di policy sono discussi nell’Appendice A; il criterio utilizzato
per tenere conto di possibili effetti di composizione nella trasmissione della caduta del commercio
internazionale alle esportazioni italiane è illustrato nell’Appendice B; l’approccio seguito per misurare
l’impatto sull’economia italiana del peggioramento delle condizioni di finanziamento innescato
dalla crisi ─ canale non precedentemente presente nel modello, anche per via dell’assenza di un nume9
ro sufficiente di osservazioni di fenomeni simili nel passato ─ viene descritto in dettaglio
nell’Appendice C; le modalità di quantificazione degli effetti attribuiti al deterioramento della fiducia
di famiglie e imprese vengono illustrate nell’Appendice D.
2. L’evoluzione della crisi
I primi segnali di tensione finanziaria si iniziano ad avvertire negli Stati Uniti già nella prima metà del
2007, quando alcune importanti istituzioni finanziarie iniziano a ridurre la propria esposizione in titoli
collegati a mutui ipotecari particolarmente rischiosi (i cosiddetti titoli subprime). Le turbolenze si intensificano
in estate, portando i mercati interbancari a una situazione di stallo in agosto. Da quel momento,
la crisi si intensifica rapidamente e si estende in pochi mesi a tutti i principali mercati e aree,
trasmettendosi poi alla domanda e alla produzione a partire dal 2008. Nel secondo trimestre di
quell’anno l’attività economica inizia a rallentare in tutte le maggiori economie. Le tensioni sui mercati
finanziari raggiungono il loro culmine nell’autunno del 2008. Nei mesi successivi il commercio internazionale
tracolla (circa -16 per cento tra il quarto trimestre del 2008 e il primo del 2009) e l’attività
economica subisce una forte caduta in tutto il mondo, arrestatasi solo alla metà del 2009.
In Italia si possono distinguere, a fini espositivi, tre fasi principali nell’evoluzione dalla crisi alla recessione.
Prima fase: turbolenze finanziarie e rallentamento dell’economia
In una prima fase, compresa tra le estati del 2007 e del 2008, il quadro macroeconomico mostra i primi
segnali di indebolimento, sebbene le turbolenze finanziarie connesse alla crisi dei titoli subprime esercitino
effetti ancora molto contenuti sull’attività economica. Il credito alle imprese cresce a ritmi elevati
e non vi sono chiare indicazioni di restrizioni dell’offerta. Nella prima metà del 2008 il quadro esterno
è dominato da ripetuti aumenti dei prezzi delle materie prime, di dimensioni eccezionalmente elevate,
a cui si associa un progressivo incremento dell’inflazione al consumo effettiva e attesa in tutta l’area
dell’euro. Gli scambi internazionali, seppur meno vigorosi che negli anni precedenti, ancora non mostrano
un sensibile deterioramento, ma le vendite all’estero italiane sono già in una fase di sostanziale
ristagno. Nel secondo trimestre del 2008 inizia la fase di contrazione del PIL (-1,3 per cento nella media
dell’anno; Tav. 1) che si protrarrà fino alla metà dell’anno seguente.
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Tav. 1 – Principali variabili macroeconomiche: “storia”
2007 2008 2009 2010
Prodotto interno lordo 1.4 -1.3 -5.1 0.7
Importazioni di beni e servizi 3.3 -4.3 -14.6 2.1
Esportazioni di beni e servizi 3.9 -3.9 -19.1 2.6
Consumi finali nazionali famiglie 1.1 -0.8 -1.8 0.4
Investimenti fissi lordi 1.3 -4.0 -12.2 0.7
Variazione scorte 0.1 -0.3 -0.4 0.2
Deflatore dei consumi 2.3 3.2 -0.2 1.5
Competitività export -5.4 -4.5 -1.2 -1.9
Tasso Euribor 3 mesi 4.3 4.6 1.2 1.1
Domanda estera 6.7 3.6 -11.8 4.2
Dollaro/euro 1.37 1.47 1.4 1.4
Prezzi manufatti esteri 2.0 3.5 -2.3 0.7
Prezzo del greggio brent 72.7 97.7 61.9 82.8
Prezzo importazioni materie prime non agricole 16.6 12.4 -24.3 18.5
Prezzo importazioni materie prime agricole 15.0 17.8 -20.6 22.5
Nota: gli aggregati di contabilità nazionale riflettono i dati ISTAT fino al 2009, le previsioni pubblicate nel Bollettino
Economico della Banca d'Italia n. 59, per il 2010. L'andamento delle variabili esogene è tratto dal Bollettino Economico della
Banca d'Italia n. 59, gennaio 2010.
Fonti: ISTAT e Banca d'Italia.
Seconda fase: la crisi finanziaria investe l’economia reale
Alla fine dell’estate del 2008, il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers segna l’inizio della
fase più acuta della crisi, che si protrae fino al marzo del 2009. I premi al rischio sui tassi interbancari,
già in crescita da oltre un anno, subiscono un repentino balzo verso l’alto. In un contesto di eccezionale
incertezza circa la qualità degli attivi bancari, la capitalizzazione di borsa delle principali banche italiane
e mondiali crolla in poche settimane; si moltiplicano i segnali di peggioramento nelle condizioni di
offerta di credito.
La crisi investe l’economia reale: la produzione industriale si contrae a ritmi sempre più intensi fino a
tracollare alla fine del 2008, in concomitanza con la caduta senza precedenti del commercio mondiale
tra il novembre del 2008 e il gennaio dell’anno successivo. L’eccezionale calo delle esportazioni che ne
segue e quello degli investimenti, connesso all’inasprimento delle condizioni di credito e alla caduta
delle prospettive di domanda, inducono una fortissima contrazione del prodotto interno lordo che,
11
all’inizio della primavera del 2009, torna sui valori di quasi un decennio prima. La caduta produttiva
inizia a gravare anche sull’occupazione.
La risposta delle politiche economiche si intensifica progressivamente. Nell’ottobre del 2008 le banche
centrali delle principali economie mondiali dispongono un taglio coordinato dei tassi di policy; la fase
di riduzione prosegue fino al maggio del 2009, portando i tassi di interesse su livelli storicamente molto
bassi (1 per cento quello sulle operazioni di rifinanziamento della BCE, valore minimo
dall’introduzione dell’euro). Vi si accompagna una serie di misure di politica monetaria non convenzionali
miranti ad assicurare che il credito continui ad affluire all’economia.7 Nel contempo il governo
predispone, anche di concerto con gli altri paesi europei e con la Commissione, misure di stimolo
all’attività economica, estende l’ambito di copertura degli ammortizzatori sociali, in modo da far fronte
al progressivo indebolimento del mercato del lavoro, introduce strumenti di sostegno alla patrimonializzazione
delle banche.
Terza fase: le tensioni finanziarie si attenuano, si acutizza la crisi occupazionale
A partire dal secondo trimestre del 2009 la caduta dell’attività economica si fa meno intensa. Gli indicatori
qualitativi iniziano a segnalare il diradarsi del pessimismo, anche se l’incertezza resta elevata. I
premi per il rischio, già in discesa dal dicembre del 2008, continuano a ridursi, favoriti da una maggiore
stabilità dei mercati finanziari. L’inasprimento delle condizioni di credito si attenua progressivamente,
fino ad arrestarsi alla fine del 2009. La caduta della produzione industriale, in atto da quasi un anno, si
interrompe in aprile. In autunno il PIL torna ad espandersi, sia pure, come nel periodo pre-crisi, a ritmi
inferiori a quelli delle altre maggiori economie europee. Nel contempo si fa più acuta la debolezza del
mercato del lavoro. Nel quarto trimestre del 2009 l’occupazione misurata in unità di lavoro risulta inferiore
di oltre 3 punti percentuali rispetto a un anno prima. A febbraio del 2010 i posti di lavoro persi rispetto
al picco registrato nell’aprile del 2008 ammontano a oltre 700000.
Il miglioramento del contesto internazionale e il sostegno della politica monetaria ─ ancora eccezionalmente
espansiva ─ preludono a una graduale ripresa dell’attività economica nel 2010, che però non
si irrobustirebbe prima del 20118.
7 Nell’area dell’euro l’implementazione di misure non convenzionali prende il via nell’ottobre del 2008, quando la
BCE inizia a fornire liquidità illimitata con piena certezza sui costi delle operazioni e piena aggiudicazione degli importi
richiesti nelle operazioni di rifinanziamento. A questa misura, accompagnata da una riduzione dell’ampiezza del corridoio
di oscillazione del tasso di interesse nelle operazioni attivabili su iniziativa delle controparti, fanno seguito un’estensione
delle garanzie stanziabili per le operazioni di credito dell’Eurosistema e un potenziamento delle operazioni di rifinanziamento
a più lungo termine.
8 Cfr. Banca d’Italia, Bollettino economico n. 59, gennaio 2010.
12
3. L’approccio
3.1 Potenzialità e limiti delle interpretazioni controfattuali
Per misurare il ruolo dei principali fattori sottostanti all’evoluzione dell’economia italiana nel triennio
2008-2010 sono stati esplorati alcuni scenari controfattuali (chiamati anche controstorie o ucronie), ciascuno
dei quali ricostruisce l’andamento delle principali variabili macroeconomiche che si sarebbe avuto
─ data la rappresentazione dell’economia del nostro paese fornita dal METBI ─ qualora si fosse verificata,
per un solo fattore alla volta, una situazione di “assenza di crisi”.
La tentazione di esplorare possibili controstorie esercita un fascino naturale e di lunga data su quanti si
volgono a esaminare gli eventi passati.9 L’impiego di tale artificio si basa sull’ipotesi che lo sviluppo
degli eventi effettivamente osservato nella storia non fosse interamente inevitabile e che il confronto tra
le vicende effettive e quelle controfattuali (e quindi solamente ipotetiche) possa aiutare a comprendere
quali, tra i fattori identificati a priori come possibili cause di una data sequenza di eventi, abbiano davvero
contribuito a determinarla; quali avvenimenti siano direttamente o indirettamente riconducibili a
quelle cause; quali, invece, si sarebbero comunque verificati.10 Tuttavia, non si può negare che le analisi
controfattuali, fondandosi sulla ricostruzione ipotetica di fatti mai accaduti, non possano per definizione
essere sottoposte ad alcun riscontro indipendente. I rischi insiti nel loro utilizzo come strumento
di interpretazione del passato ─ soprattutto quando la controstoria abbraccia un arco temporale lungo,
cosicché le scelte operate nel disegnarla sono esposte a margini di arbitrarietà straordinariamente ampi
e quindi non sempre facilmente accettabili ─ sono stati efficacemente segnalati, tra gli altri, da McAfee
(1983), che ha messo alla berlina la pretesa di rendere conto, con quello strumento, di intere epoche
storiche. Tuttavia, come sottolineato da Fogel (1971), qualsiasi valutazione formulata in merito a eventi
(e, si può aggiungere, a interventi) di qualsiasi natura presuppone implicitamente un confronto con
varianti ipotetiche. Ciò che rileva, quindi, è che le varianti si fondino su un processo deduttivo corretto
9 Già due millenni or sono Tito Livio non riusciva a trattenersi dall’interrogarsi su “quale sarebbe stata la sorte di
Roma se essa si fosse scontrata con Alessandro” (Ab urbe condita, 9, 17).
10 L’approccio controfattuale è stato sovente impiegato in ambito economico, dando luogo a un filone di storia economica
quantitativa noto col nome di “cliometria”. È già stato inoltre utilizzato con versioni precedenti dello stesso modello
utilizzato in questo lavoro. In particolare, Gressani, Guiso e Visco (1987) hanno esaminato il ruolo degli andamenti dei
prezzi dei prodotti petroliferi, del cambio e delle politiche dei redditi nel determinare la disinflazione dell’economia italiana
intorno alla metà degli anni ottanta del secolo scorso; Locarno e Rossi (1995) hanno analizzato l’impatto della svalutazione
della lira del 1992-1993 sull’inflazione e i conti con l’estero del nostro paese.
13
e che le ipotesi sottostanti agli scenari alternativi siano coerenti e plausibili. Nel nostro caso, nel disegnare
gli scenari controfattuali abbiamo evitato di delineare arbitrariamente sentieri alternativi ad hoc,
impiegando invece, quando possibile, modelli ausiliari (cfr. Appendici). Il ricorso esplicito e trasparente
a strumenti formalizzati limita fortemente le possibilità di abuso dei margini di manovra offerti dalle
analisi controfattuali; esso consente altresì di valutare le componenti della controstoria non solo nel loro
assieme ma anche singolarmente e quindi di accettarle, rigettarle o formulare nei loro confronti eventuali
parziali riserve in maniera selettiva e motivata e non generica e generalizzata. In alcuni casi,
per fenomeni di cui si dispone di scarse osservazioni e si soffre, anche per questo motivo, di limitata (o
nulla) esperienza modellistica precedente, abbiamo fatto ricorso a più strumenti, per verificare che i risultati
da noi ottenuti non siano strettamente legati alla scelta del modello (questo è il caso, in particolare,
del modo in cui misuriamo gli effetti del peggioramento delle condizioni di finanziamento).
L’episodio recessivo qui esaminato presenta due ulteriori caratteristiche che rendono particolarmente
delicato il disegno delle simulazioni controfattuali.
In primo luogo, la crisi recente ha portato l’economia mondiale in territori nei quali essa non si era mai
in precedenza avventurata. I modelli dell’economia non sono attrezzati per consentire l’analisi di sviluppi
che si allontanano dalla norma: essi sono infatti in grado di riprodurre le relazioni tra variabili solo
nella misura in cui tali relazioni siano rimaste sufficientemente stabili nel tempo e si prestino quindi
a essere individuate e stimate mediante l’uso di tecniche statistico-econometriche.11
In secondo luogo, non è sempre agevole districare i diversi canali di trasmissione della crisi e misurarne
separatamente la portata,12 dal momento che essi sono strettamente interconnessi, si sono alimentati
e rafforzati vicendevolmente, raggiungendo, anche per via di questa interazione, una virulenza inusitata.
Nel caso qui considerato, il periodo per il quale vengono definiti scenari controfattuali è limitato,
l’evento che si desidera sottoporre all’analisi è ben definito, le sue conseguenze sono sufficientemente
circoscritte; tali elementi rendono, in via di principio, più agevole il compito di disegnare scenari alternativi
verosimili e internamente coerenti.
11 Come rilevato da Visco (2009), purtroppo “condizioni eccezionali non possono venire ricreate a piacimento, in laboratorio,
per finalità conoscitive; la nostra esperienza a tale riguardo rimane necessariamente limitata, parziale ed episodica.”
Di conseguenza, i modelli non si prestano di per sé a far fronte a e a rendere conto di eventi estremamente rari. Ciò non
significa peraltro che in quelle situazioni i modelli diventino automaticamente inutili o peggio ancora dannosi. Su questo
punto e sulle strategie che possono essere poste in essere per ovviare alla inadeguatezza (vera o presunta) dei modelli
dell’economia in situazioni specifiche si vedano Siviero e Terlizzese (2007) e Visco (2009).
12 Tale osservazione suggerisce quindi che la nostra valutazione dell’effetto complessivo dei fattori di crisi è intrinsecamente
dotata di un grado di affidabilità superiore a quella delle singole componenti.
14
Le scelte da noi operate nel disegnare gli scenari controfattuali sono esposte in dettaglio nel paragrafo
successivo. Preme qui sottolineare che, adottando l’ipotesi di “assenza di crisi” per tutti i fattori presi in
considerazione, ne risulta un sentiero di sviluppo dell’economia italiana per il triennio 2008-2010 che
non si discosta sistematicamente da quello stimato per il prodotto potenziale immediatamente prima
della crisi. Ciò suggerisce, da un lato, che nessun fattore particolarmente rilevante è stato omesso
dall’analisi e, dall’altro, che le ipotesi controfattuali sono plausibili.
3.2 L’approccio in dettaglio: arco temporale, canali identificati, sentieri evolutivi nella controstoria
In questo paragrafo si presenta il disegno degli esercizi controfattuali effettuati per riprodurre gli scenari
di “assenza di crisi”.
Alla luce della successione di eventi brevemente delineata nel Paragrafo 2, l’orizzonte temporale di simulazione
copre il periodo compreso tra il terzo trimestre del 2007 ─ in cui si iniziano ad avvertire le
prime conseguenze delle tensioni finanziarie sui tassi di interesse ─ e il quarto del 2010 ─ quando, secondo
le attese prevalenti, i ritmi di crescita dell’economia italiana saranno tornati attorno ai livelli precrisi.
13
La simulazione di partenza (“simulazione di base”) riproduce gli andamenti storici dell’economia fino
al quarto trimestre del 2009 e, per quelli successivi, le previsioni predisposte in occasione della pubblicazione
del Bollettino economico della Banca d’Italia n. 59 (gennaio 2010).
Allo scopo di replicare l’andamento dell’economia italiana “come se” gli eventi innescati dalla crisi finanziaria
non si fossero mai prodotti, si ipotizza che i fenomeni che hanno caratterizzato la recessione
siano inquadrabili in cinque categorie: (i) caduta del prodotto e del commercio mondiali e contraccolpi
sui prezzi praticati nei mercati internazionali e sui cambi (“crisi importata”); (ii) peggioramento delle
condizioni di finanziamento di famiglie e imprese (“fattori finanziari interni”); (iii) impatto sui consumi
del crollo delle quotazioni delle attività detenute dalle famiglie italiane (“effetti ricchezza”); (iv) contrazioni
delle componenti interne della domanda non riconducibili agli andamenti delle determinanti
fondamentali (“crisi da sfiducia”); a tali fattori di crisi si contrappongono (v) le risposte delle autorità
monetarie e fiscali (“misure di politica economica”). Data la natura non lineare del modello, vengono
inoltre misurati, come elemento residuale, gli effetti derivanti dall’interazione dei canali sopra menzionati.
13 Per comodità espositiva, nel resto del lavoro, nel fare riferimento agli andamenti delle variabili esogene sottostanti
alla simulazione di base e all’evoluzione che ne risulta per le variabili endogene, essi verranno talvolta trattati come “dati”
anche per il 2010 ─ periodo per il quale, nel momento in cui si scrive, essi sono a tutti gli effetti ancora proiezioni.
15
A rigore, l’impatto dei singoli fenomeni (i)-(vi) sarebbe separatamente quantificabile solo se essi fossero
completamente indipendenti. È tuttavia innegabile che quei fenomeni siano stati, al contrario, strettamente
correlati. A titolo di esempio, in assenza della “crisi importata” molto probabilmente quella
“da sfiducia” non si sarebbe verificata; inoltre, le politiche economiche avrebbero assunto
un’intonazione certamente meno espansiva. Tuttavia, identificare il grado di interdipendenza dei diversi
gruppi di fattori è compito non agevole e anzi in alcuni casi del tutto impossibile. Si pensi, come caso
limite, alla risposta delle politiche economiche: mentre la reazione discrezionale complessiva è facilmente
identificabile, le risposte ai singoli fattori di crisi non lo sono, a meno di voler introdurre ipotesi
ad hoc affatto arbitrarie. Non è pertanto possibile conseguire la piena coerenza interna delle simulazioni
controfattuali14.
(i) Crisi importata
Nella simulazione controfattuale si è imposto un ritmo di crescita del commercio mondiale permanentemente
in linea, a partire dal terzo trimestre del 2007, con quello medio dei 20 anni precedenti (poco
meno del 7,5 per cento, in media, all’anno)15; in tale ipotesi il tasso di crescita della domanda mondiale
sarebbe stato mediamente più elevato di oltre 8 punti percentuali all’anno rispetto a quanto incorporato
nella simulazione di base. La mera correzione dell’andamento del commercio mondiale non consente di
misurare eventuali effetti sulle esportazioni italiane derivanti da modifiche nella composizione merceologica
degli scambi internazionali. Data la natura della crisi globale, il crollo della domanda dei nostri
principali partner commerciali è stato particolarmente intenso per i beni capitali, che nel 2007 rappresentavano
circa il 40 per cento delle esportazioni italiane. È quindi verosimile che le nostre vendite
all’estero abbiano reagito alla contrazione della domanda mondiale in misura superiore rispetto a quanto
ricavabile dalle relazioni storiche incorporate nel METBI. Questa circostanza appare confermata
dall’andamento degli errori di previsione statica dell’equazione delle esportazioni, che nei trimestri tra
giugno 2008 e marzo 2009 segnalano una sistematica sovrastima. Per tenere conto del possibile “effetto
di composizione” si è verificata l’esistenza di una relazione statistica tra gli errori di previsione
dell’equazione delle esportazioni e l’andamento degli investimenti delle economie dell’OCSE. Tale relazione
è stata poi utilizzata per annullare gli “effetti di composizione” nella controstoria.16
14 Per contro, nel disegnare gli scenari controfattuali si è tentato di tenere conto di tutte le interdipendenze particolarmente
marcate, selezionando opportunamente le variabili incluse nello stesso gruppo di fattori e modellandone le interrelazioni.
Si vedano le Appendici A, B e D.
15 Quale controllo di robustezza la media è stata calcolata anche su orizzonti di 5, 10, 15 e 30 anni, ottenendo risultati
analoghi.
16 Si veda l’Appendice B.
16
Per quanto concerne il disegno degli andamenti controfattuali delle altre principali variabili esogene
internazionali, per i prezzi delle materie prime non energetiche (caduti, in media, di oltre 15 punti percentuali
dall’inizio della crisi) e dei manufatti esteri in valuta (diminuiti di quasi 3 punti percentuali) si
è ipotizzato un tasso di crescita in linea con quello medio degli ultimi 20 anni (pari, rispettivamente, al
2,5 e allo 0,8 per cento), adottando quindi lo stesso criterio impiegato per il commercio internazionale.
Per il prezzo del petrolio e il tasso di cambio si è invece fatto ricorso a un modello ausiliario17. Il prezzo
del greggio, dopo una forte accelerazione nella prima metà del 2008, è calato repentinamente a partire
dall’estate dello stesso anno, risultando, nella media del 2009, inferiore di quasi il 40 per cento rispetto
all’anno precedente. Nella controstoria, nel biennio 2009-2010 esso è più elevato di circa il 10
per cento rispetto alla simulazione di base. Il tasso di cambio dell’euro nella simulazione controfattuale
si scosta solo marginalmente da quello della simulazione di base.
(ii) Fattori finanziari interni
La crisi finanziaria originatasi nel mercato sub-prime statunitense si è rapidamente diffusa ad altri mercati
e ad altre aree geografiche, ripercuotendosi sulla disponibilità e il costo del credito. Anche in Italia
le tensioni nei mercati monetari e il peggioramento delle attività detenute dalle banche hanno portato a
un repentino aumento dei premi per il rischio incorporati nei tassi di interesse bancari, cui è seguito un
prolungato rallentamento dei finanziamenti erogati dalle aziende di credito.
Nello scenario controfattuale si è ipotizzato che i premi per il rischio nell’area dell’euro rimangano
costanti lungo l’orizzonte di previsione. In tale ipotesi ne verrebbe corretto sia l’eccezionale incremento
fino alla fine del 2008, sia il graduale rientro nel corso del 2009.18 Nella controstoria vengono quindi
annullati, almeno in parte, anche gli effetti delle immissioni di liquidità operate dalla BCE attraverso
misure di politica monetaria non convenzionali allo scopo di prevenire il collasso dei mercati interbancari
europei.19 Sulla base delle relazioni incorporate nel METBI, questa ipotesi implica tassi bancari
sugli impieghi inferiori a quelli storici per circa 30 punti base, in media, all’anno, sul segmento a breve
termine e per circa 35 per quelli sui prestiti a più lunga scadenza.20
17 Si veda l’Appendice A.
18 I premi per il rischio calcolati con il differenziale tra il tasso Euribor e quello Eurepo a tre mesi saltano repentinamente
al livello di 26 punti base il 10 agosto del 2007 ─ contro una media storica di poco superiore ai 5 punti base ─ malgrado
una pronta e ampia immissione di liquidità da parte della BCE; successivamente essi aumentano rapidamente fino a
superare i 180 punti base nell’ottobre del 2008, per poi riportarsi su valori più contenuti ma comunque ancora lontani da
quelli pre-crisi (alla fine di marzo del 2010 risultavano ancora pari a circa 30 punti base).
19 Per una discussione circa i possibili effetti di tali misure, si veda più avanti, sub (v).
20 Tali valutazioni risultano coerenti con quelle sottostanti agli scenari previsivi realizzati negli ultimi anni dalla Banca
d’Italia, anche nell’ambito degli esercizi coordinati dell’Eurosistema.
17
È meno agevole identificare in quale misura le quantità di credito erogate al settore privato abbiano
risentito di restrizioni quantitative dell’offerta, piuttosto che di flessioni della domanda. I dati sulla dinamica
dei prestiti bancari non consentono di individuare l’influsso riconducibile alla sola offerta di
credito, in quanto riflettono gli importi scambiati. È pertanto necessario ricorrere a metodi indiretti per
quantificare gli effetti di eventuali restrizioni alle quantità offerte. In questo lavoro tali effetti sono stati
valutati ricorrendo a una misura sintetica delle indicazioni ricavabili utilizzando diversi approcci.21 Oltre
a impiegare stime già disponibili in letteratura22, è stata sviluppata una metodologia simile a quella
proposta originariamente da Fair e Jaffee (1972), basata sull’ipotesi che esista una relazione positiva tra
l’andamento del tasso di interesse e l’eventuale eccesso (non osservabile) di domanda di prestiti. Tale
relazione consente di ricavare una stima della discrepanza tra domanda di prestiti e quantità effettivamente
erogate. L’effettiva presenza di condizioni di disequilibrio viene identificata ricorrendo agli indicatori
sintetici per l’Italia dell’indagine sul credito bancario (Bank Lending Survey, BLS) condotta
periodicamente dalle banche centrali dell’Eurosistema. È stato quindi valutato l’impatto di ciascuna
misura dell’eccesso di domanda sulla dinamica degli investimenti produttivi23, utilizzando l’effetto mediano
nella ricostruzione della controstoria. Mentre sino alla fine del 2009 le stime si basano sui dati
storici della BLS, per il 2010 esse sono state ottenute sotto l’ipotesi che il mercato del credito rimanga
in condizioni di equilibrio. Pertanto, i risultati per quell’anno possono sottovalutare l’impatto dei fattori
finanziari interni e vanno quindi interpretati con particolare cautela.
(iii) Effetti ricchezza
Nella simulazione controfattuale si assumono quotazioni azionarie invariate sui livelli prevalenti alla
metà del 200724 e si valuta, con l’ausilio del METBI, l’impatto che ne conseguirebbe sui consumi privati,
dato il peso della componente azionaria sulla ricchezza detenuta dalle famiglie. Non si è invece
tenuto conto degli eventuali effetti determinati dall’andamento della ricchezza immobiliare: da un lato,
nel METBI si stima che essa influenzi in misura trascurabile le decisioni di consumo; dall’altro, in Ita-
21 Si veda l’Appendice C.
22 Del Giovane, Eramo e Nobili (2010) e Casolaro, Eramo e Gambacorta (2006). Per una rassegna dei metodi alternativi
proposti per quantificare il ruolo dei vincoli di offerta alla dinamica del credito si veda Panetta e Signoretti (2010).
23 Al contrario, non vi è evidenza di un effetto del peggioramento delle condizioni creditizie sulla spesa delle famiglie.
I residui delle equazioni dei consumi privati, di entità non trascurabile nel periodo considerato, sono invece strettamente
correlati con le preoccupazioni circa le prospettive del mercato del lavoro, misurate dalle attese di disoccupazione rilevate
dall’ISAE (si veda Appendice D).
24 I corsi azionari in Italia, dopo aver toccato i massimi storici nella prima metà del 2007, hanno subito un calo progressivo
già a partire dalla metà di quell’anno, che si è rapidamente accentuato negli ultimi mesi del 2008; dal marzo del
2009 le quotazioni hanno segnato un graduale recupero, rimanendo tuttavia sensibilmente inferiori rispetto ai livelli prevalenti
due anni prima (alla fine di marzo del 2010 l’indice risultava ancora inferiore di oltre il 45 per cento rispetto ai massimi
raggiunti alla metà del 2007).
18
lia la crisi ha avuto un impatto limitato sui prezzi degli immobili25. È stato altresì trascurato il possibile
effetto di perdite in conto capitale associate alla ricchezza detenuta in titoli obbligazionari,
(iv) Crisi da sfiducia
La crisi finanziaria e la recessione che ne è seguita hanno alimentato un clima di diffusa incertezza sia
tra le imprese sia tra le famiglie, che può aver generato una maggiore cautela nelle decisioni di investimento
e di consumo, non catturata dalle variabili “fondamentali”.
Per quanto concerne le imprese, nella controstoria tale cautela è stata sterilizzata imponendo che il relativo
clima di fiducia ─ incluso tra le variabili esplicative dell’equazione degli investimenti in attrezzature,
macchinari e mezzi di trasporto ─ rimanga invariato sul livello medio dei primi due trimetri del
2007.
Le equazioni del METBI che descrivono le decisioni di spesa non includono invece alcun indicatore
del clima di fiducia dei consumatori.26 Gli effetti riconducibili alla “crisi da sfiducia” sono stati in questo
caso valutati ricorrendo a una equazione ausiliaria che mette in relazione gli errori di simulazione
statica delle equazioni del consumo con le attese di disoccupazione delle famiglie italiane rilevate
dall’ISAE27.
(v) Misure di politica economica
Tassi di interesse di policy. Nell’esercizio controfattuale, la risposta dei tassi di interesse di policy
all’andamento dei prezzi e della domanda aggregata dell’area dell’euro è stata disegnata sulla base di
una equazione del tipo “regola di Taylor”28. Nell’ipotesi, già adottata per valutare l’entità della “crisi
importata”, di una espansione del commercio internazionale in linea con quello medio degli ultimi venti
anni, i più elevati PIL e inflazione dell’area inducono un orientamento meno espansivo della componente
sistematica della politica monetaria, con tassi di policy più elevati di 35 punti base nel 2008, 170
nel 2009 e 140 nel 2010 rispetto a quanto incorporato nella simulazione di base29 (ciò implica un tasso
25 Cfr. Panetta et al. (2009). La valutazione non tiene conto altresì del possibile effetto sulla ricchezza delle famiglie
italiane di variazioni del valore dei titoli obbligazionari, risultate peraltro trascurabili.
26 La fiducia dei consumatori italiani, misurata dall’indice ISAE, inizia a calare già nel 2007, per portarsi, alla fine
dell’anno successivo, sui livelli minimi dal 2004. Tra le componenti prospettiche dell’indice, le attese di disoccupazione, già
in risalita nel 2007, diventano sempre più pessimistiche, fino a raggiungere i livelli massimi nella prima metà del 2009; nel
marzo del 2010 risultavano ancora nettamente superiori rispetto ai valori prevalenti intorno alla metà del 2007.
27 Si veda l’Appendice D.
28 Si veda l’Appendice A.
29 Nel periodo compreso tra l’ottobre 2008 e il maggio 2009 la BCE aveva ridotto il tasso di interesse sulle operazioni
di rifinanziamento principali (Main refinancing operations) di oltre 3 punti percentuali, portandolo all’1 per cento.
19
Euribor a 3 mesi pari al 5 per cento nella media del 2008, al 3,1 nel 2009 e al 2,9 nel 2010)30. Anche
nella controstoria, quindi, il tasso di interesse presenta un profilo decrescente, coerentemente con un
leggero rallentamento dell’attività economica rispetto al periodo pre-crisi e una moderazione delle
pressioni inflazionistiche, sia interne sia importate (cfr. paragrafo (i) Crisi importata).
Misure di politica monetaria non convenzionali. Nel corso di questa crisi, all’usuale risposta della
politica monetaria agli andamenti ciclici ─ basata su variazioni dello strumento del tasso di interesse di
policy ─ sono state affiancate, nelle maggiori economie, misure non convenzionali, volte a influenzare,
oltre ai costi di finanziamento delle imprese e delle famiglie, anche la disponibilità di risorse finanziarie
per il sistema economico.
L’impatto di queste misure non è stato separatamente quantificato, sebbene a esse sia, almeno in parte,
riconducibile l’attenuazione dei fattori finanziari interni sperimentata nel corso del 200931. Le politiche
non convenzionali hanno infatti verosimilmente contribuito a mitigare l’inasprimento delle condizioni
di finanziamento delle imprese e delle famiglie sia per quanto concerne i costi, sia per quanto concerne
le quantità erogate. Peraltro, l’entità complessiva di tale contributo risulta di difficile quantificazione,
per tre ragioni: in primo luogo, l’attenuazione delle tensioni sui mercati creditizi32 è stato il risultato
anche di altri fattori (quali ad esempio le misure di sostegno pubblico agli istituti in difficoltà); in secondo
luogo, l’evidenza storica circa gli effetti delle politiche non convenzionali è, per la loro stessa
natura, estremamente scarsa e non permette quindi di identificare su basi statisticamente solide il loro
effetto; in terzo luogo, in un’ipotesi estrema, in assenza di tali misure il mercato del credito nell’area
dell’euro si sarebbe pressoché fermato, con conseguenze imprevedibili per l’attività economica.
Politica fiscale. Gli effetti della politica fiscale sono quelli stimati in Hamburg et al. (2010), cui si rimanda
per maggiori dettagli e per un confronto con l’esperienza tedesca. Per ricostruire l’andamento
della politica fiscale nella controstoria, è utile distinguere tra la componente ciclica delle voci di spesa e
di entrata del bilancio dello stato ─ quella associata cioè alla reazione automatica all’andamento
dell’attività economica ─ e la componente discrezionale, connessa alle misure esplicitamente varate per
contrastare la crisi economica, definite e progressivamente introdotte dal Governo a partire dalla fine
30 Secondo la regola di Taylor impiegata per la costruzione di questo scenario, la componente discrezionale delle decisioni
di politica monetaria relative ai tassi di interesse è stata trascurabile nel periodo considerato.
31 Locarno e Secchi (2009), utilizzando metodologie differenti da quelle impiegate in questo lavoro e trascurando gli
effetti sulle quantità di credito, stimano che le misure non convenzionali possano aver contribuito a contenere la caduta del
PIL nel 2009 in misura compresa tra lo 0,7 e l’1,7%.
32 A partire dalla fine del 2008, dopo l’adozione di questo insieme di misure, le tensioni sui segmenti a più breve termine
del mercato monetario si riducono in misura significativa; a partire dal marzo del 2009 il tasso Eonia risulta inferiore
al tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali dell’Eurosistema. I premi per il rischio sul mercato interbancario (misurati
col differenziale tra il tasso Euribor e quello Eurepo), dopo essere cresciuti ininterrottamente fino all’ottobre del 2008,
iniziano a stabilizzarsi verso la fine di quell’anno, per scendere progressivamente nel corso del 2009.
20
del 2008. Per quanto concerne queste ultime, quelle più rilevanti in termini di impatto sulla domanda
aggregata sono le seguenti: (i) interventi di sostegno al reddito delle famiglie, principalmente sotto
forma di trasferimenti diretti alle famiglie a basso reddito e potenziamento di alcuni ammortizzatori sociali,
come la Cassa integrazione guadagni; (ii) incentivi alla rottamazione di autoveicoli inquinanti, introdotti
nel febbraio del 2009 e scaduti 10 mesi più tardi; (iii) agevolazioni fiscali a favore degli utili
reinvestiti in acquisti di capitale produttivo (la cosiddetta legge “Tremonti-ter”), del giugno dello stesso
anno (in vigore per 12 mesi); (iv) misure di sostegno alle imprese contenute nell’assestamento di bilancio
del 2009.33
Nell’esercizio controfattuale si assume che i provvedimenti che hanno definito le misure (i)-(iv) non
siano mai stati adottati; vengono inoltre rimossi, impiegando la metodologia di Bouthevillain et al.
(2001), gli effetti legati alla reazione automatica delle poste del bilancio pubblico al ciclo.
Non è stato invece valutato il contributo delle misure varate dal Governo per attenuare le tensioni sul
mercato del credito, essenzialmente incentrate sulla disponibilità del Ministero dell’Economia a sottoscrivere
obbligazioni emesse dalle banche (i cosiddetti “Tremonti-bond”) al fine di accrescere la quantità
di risorse disponibili per il finanziamento dell’economia. L’effetto di queste misure risulta di difficile
quantificazione dal momento che esse, oltre all’impatto diretto sulla patrimonializzazione delle
banche possono aver contribuito ad attenuare le tensioni sui mercati dei capitali. È infatti pressoché impossibile
attribuire pro-quota le conseguenze macroeconomiche di tali sviluppi alle singole misure che
hanno contribuito a determinarli (tra le quali sono state ricordate in precedenza le misure non convenzionali
di politica monetaria).
(vi) Effetti di interazione
Vengono identificati, come elemento residuale, gli effetti derivanti dall’interazione tra i cinque fattori
prima ricordati (“effetti di interazione”), riconducibili a reazioni non-lineari all’interno del METBI.
33 Un ulteriore provvedimento, non specificamente incluso nelle disposizioni di contrasto alla crisi economica, ma
potenzialmente in grado di fornire uno stimolo agli investimenti in costruzioni, è l’accordo Governo-Regioni, sottoscritto
alla fine di marzo del 2009, che autorizza queste ultime a consentire ampliamenti della volumetria per alcune tipologie di
abitazioni in deroga alle leggi esistenti (il cosiddetto “piano casa”). Le simulazioni controfattuali non tengono conto di tali
ultimi effetti, la cui entità è di difficile quantificazione per via dell’incertezza associata alle sue concrete modalità di implementazione
da parte delle amministrazioni locali.
21
4 I risultati: controstorie della crisi
Il prodotto dell’Italia, dopo una fase di crescita stentata nel biennio 2006-2007, si è contratto di 1,3
punti percentuali nel 2008 e di 5,1 nel 2009. A partire dall’estate dell’anno scorso si sono manifestati i
primi segnali di ripresa dell’attività economica, che tuttavia rimanevano incerti e deboli ancora nella
fase finale dell’anno. Secondo le stime più recenti, nel 2010 la crescita sarebbe modesta; si irrobustirebbe
solo l’anno successivo.
A fronte di tali sviluppi effettivi, quale sarebbe stata l’evoluzione dell’economia italiana se i fattori che
hanno scatenato e accompagnato la crisi e le reazioni delle politiche economiche (descritti nel Par. 3.2)
non si fossero manifestati? In questo paragrafo viene fornita a tale domanda una risposta in due tempi:
in primo luogo, viene presentato un possibile sentiero evolutivo della nostra economia in assenza
(completa) di crisi (Par. 4.1); in secondo luogo, si discutono scenari di assenza selettiva dei diversi fattori
di crisi, per confrontare il ruolo giocato dai vari canali attraverso i quali gli impulsi recessivi e la
risposta delle politiche economiche si sono trasmessi all’economia del nostro paese (Par. 4.2).
4.1 L’economia italiana senza la crisi
Nel loro insieme, il venir meno di tutti i fattori di crisi descritti nel Paragrafo 3.2 avrebbe determinato
un quadro macroeconomico sensibilmente diverso da quello effettivamente osservato (Tav. 2): si può
stimare che, nell’arco del triennio, la crisi abbia sottratto alla crescita del PIL italiano quasi 10 punti
percentuali, la maggior parte dei quali (circa 7) entro il 2009. La risposta decisa delle politiche economiche
avrebbe contribuito a contenere in misura considerevole l’impatto degli impulsi recessivi, per
circa 3,5 punti percentuali nel triennio. Nel complesso si valuta pertanto che, in assenza sia della crisi
sia delle reazioni delle politiche economiche, il prodotto sarebbe stato più elevato per circa 6,5 punti
percentuali nel periodo considerato (5 punti entro il 2009; Tav. 3). Poiché nella simulazione di base la
contrazione complessiva dell’attività economica nel triennio 2008-2010 è pari a circa il 5,5 per cento,
anche nella controstoria la dinamica del PIL italiano risulta modesta (circa 0,3 per cento, in media,
all’anno, un valore peraltro non lontano da quello stimato per il prodotto potenziale), inferiore a quella,
già bassa, registrata nella media del quinquennio precedente (circa 1 per cento).
Tav. 2 – Impatto della crisi sul quadro macroeconomico nel triennio 2008-2010
(deviazioni percentuali rispetto allo scenario senza crisi)
Impatto dei fattori di crisi Impatto delle politiche economiche Impatto Totale
Crisi
importata
Fattori
finanziari
interni
Crisi da
sfiducia
Effetti
ricchezza
Effetti di
interazione
Totale
(a)
Politica
monetaria
Politica
fiscale
Totale
(b) (a)+(b)
Prodotto interno lordo -7.6 -0.5 -1.4 -0.1 -0.1 -9.8 1.8 1.6 3.4 -6.4
Importazioni di beni e servizi -20.3 0.0 -1.6 -0.2 0.0 -22.1 2.6 2.0 4.6 -17.5
Esportazioni di beni e servizi -35.6 0.0 -0.1 0.0 0.0 -35.7 0.1 0.7 0.8 -34.9
Consumi finali nazionali famiglie -2.1 -0.4 -1.5 -0.2 -0.1 -4.3 2.1 1.5 3.6 -0.7
Investimenti fissi lordi -13.4 -1.0 -4.2 -0.2 -0.1 -18.9 5.7 3.7 9.4 -9.5
di cui : Investimenti in a.m.m.t. -21.9 -0.5 -3.7 -0.4 -0.4 -27.0 8.8 6.4 15.2 -11.8
Investimenti in costruzioni -4.9 -1.5 -4.6 -0.1 0.3 -10.8 2.7 0.9 3.6 -7.2
Deflatore PIL -0.7 -0.3 -0.2 -0.1 0.0 -1.2 0.2 -0.7 -0.5 -1.7
Deflatore import. beni e servizi -2.1 -0.2 -0.1 0.0 0.0 -2.4 0.1 0.1 0.3 -2.1
Deflatore esport. beni e servizi -1.3 -0.2 -0.1 0.0 0.0 -1.5 0.2 -0.6 -0.4 -2.0
Deflatore consumi fin. naz. fam. -0.6 -0.1 0.0 0.0 0.0 -0.7 0.1 -0.9 -0.8 -1.5
Deflatore valore aggiunto settore privato -0.3 -0.2 -0.1 0.0 0.0 -0.6 0.2 -0.7 -0.5 -1.1
Retrib. unitarie settore privato -1.1 -0.2 -0.2 0.0 0.0 -1.5 0.3 -0.4 -0.1 -1.7
Mark-up settore privato -6.6 -0.1 -1.0 -0.1 0.1 -7.7 1.4 2.2 3.5 -4.2
CLUP settore privato 5.9 -0.1 0.9 0.0 -0.1 6.6 -1.2 -2.9 -4.1 2.5
Occupazione totale (unità standard) -3.2 -0.5 -0.5 -0.1 0.0 -4.3 0.5 0.6 1.1 -3.2
Indebitamento netto P.A. (in rapporto al PIL) 3.7 0.9 0.7 0.1 -0.2 5.2 -1.4 1.5 0.0 5.3
Si stima che, senza crisi, l’espansione delle vendite all’estero sarebbe stata molto più vigorosa: complessivamente,
esse sarebbero risultate più elevate per circa 35 punti percentuali nel periodo 2008-
2010. Nonostante ciò, il divario fra la crescita delle esportazioni e quella degli scambi internazionali sarebbe
rimasto significativo. Gli effetti ritardati delle perdite di competitività cumulate negli anni passati
e quella, ancora sostenuta, stimata per il 2010, avrebbero continuato a gravare sulla capacità delle imprese
italiane di approfittare dell’espansione (controfattuale) degli scambi mondiali.
Anche le componenti interne della domanda sarebbero cresciute a un ritmo modesto. Nel complesso, la
spesa delle famiglie avrebbe superato il livello osservato in storia per meno di 1 punto percentuale, con
una dinamica comunque negativa nel biennio 2008-2009, in linea con quella media stimata per il reddito
disponibile a prezzi costanti (pressoché stagnante nello scenario controfattuale).
Gli investimenti, pur recuperando, rispetto allo scenario di crisi, quasi 10 punti percentuali, sarebbero
comunque diminuiti nel triennio 2008-2010. Su tale profilo gravano, nello scenario controfattuale, anche
politiche economiche meno espansive di quelle messe in atto per fronteggiare la crisi.
L’impatto occupazionale della recessione è stato considerevole: in assenza dei soli fattori di crisi le unità
di lavoro sarebbero risultate più elevate per oltre 4 punti percentuali. La perdita di posti di lavoro è
stata peraltro mitigata in misura non trascurabile dalla politiche economiche, che avrebbero limitato la
caduta degli occupati effettivi per circa 1 punto percentuale. In assenza di crisi, dopo una leggera flessione
nel 2009 gli occupati avrebbero ripreso a crescere già dal 2010. Al termine dell’orizzonte di simulazione
il tasso di disoccupazione sarebbe stato inferiore di oltre mezzo punto. Correggendo il tasso
di disoccupazione per tenere conto dei lavoratori in regime di Cassa integrazione guadagni l’effetto sarebbe
stato ancora più marcato (circa 1,5 punti).
I prezzi al consumo sarebbero risultati più elevati per 1,5 punti percentuali cumulativamente, sospinti
dalla più alta inflazione importata e dalla dinamica dei margini di profitto, solo parzialmente compensata
dalla riduzione dei costi unitari del lavoro indotta dal forte recupero della produttività.
I risultati dell’esercizio controfattuale suggeriscono quindi che, senza la crisi ─ e senza le contromisure
messe in campo dalle autorità monetarie e fiscali per farvi fronte ─ la crescita dell’economia italiana
sarebbe stata comunque modesta.
24
Tav. 3 – Impatto della crisi sul quadro macroeconomico negli anni 2008-2010
(deviazioni percentuali rispetto allo scenario senza crisi)
2008 2009 2010
Impatto dei
fattori di crisi
Impatto delle
politiche
economiche
Impatto
Totale
Impatto dei
fattori di crisi
Impatto delle
politiche
economiche
Impatto
Totale
Impatto dei
fattori di crisi
Impatto delle
politiche
economiche
Impatto
Totale
Prodotto interno lordo -0.4 0.2 -0.1 -6.8 1.8 -5.0 -9.8 3.4 -6.4
Importazioni di beni e servizi -2.8 0.4 -2.4 -21.2 2.7 -18.4 -22.1 4.6 -17.5
Esportazioni di beni e servizi -1.1 0.0 -1.1 -29.2 0.3 -28.9 -35.7 0.8 -34.9
Consumi finali nazionali famiglie -0.2 0.3 0.1 -2.0 2.2 0.1 -4.3 3.6 -0.7
Investimenti fissi lordi -1.2 0.6 -0.6 -16.2 4.0 -12.2 -18.9 9.4 -9.5
di cui : Investimenti in a.m.m.t. -2.3 1.1 -1.2 -29.7 6.2 -23.5 -27.0 15.2 -11.8
Investimenti in costruzioni 0.0 0.1 0.1 -3.6 1.9 -1.7 -10.8 3.6 -7.2
Deflatore PIL 0.2 0.0 0.2 -0.2 -0.4 -0.6 -1.2 -0.5 -1.7
Deflatore import. beni e servizi 2.4 0.0 2.4 -2.9 0.1 -2.8 -2.4 0.3 -2.1
Deflatore esport. beni e servizi 1.2 0.0 1.2 -0.7 -0.4 -1.1 -1.5 -0.4 -2.0
Deflatore consumi fin. naz. fam. 0.2 0.0 0.2 0.1 -0.6 -0.5 -0.7 -0.8 -1.5
Deflatore valore aggiunto settore privato 0.3 0.0 0.3 0.3 -0.5 -0.2 -0.6 -0.5 -1.1
Retrib. unitarie settore privato 0.0 0.0 0.0 -0.6 0.0 -0.6 -1.5 -0.1 -1.7
Mark-up settore privato -0.2 0.2 0.0 -7.1 2.2 -4.9 -7.7 3.5 -4.2
CLUP settore privato 0.5 -0.2 0.4 6.8 -2.7 4.2 6.6 -4.1 2.5
Occupazione totale (unità standard) 0.0 0.0 0.0 -1.8 0.4 -1.4 -4.3 1.1 -3.2
Indebitamento netto P.A. (in rapporto al PIL) 0.0 0.0 0.0 0.5 1.3 1.8 5.2 0.0 5.3
La recessione avrebbe inciso in misura rilevante anche sull’evoluzione del prodotto potenziale. Secondo
le stime ottenute con un modello a componenti inosservate34, nel triennio si è accentuato il progressivo
rallentamento, già in atto da oltre venti anni, del PIL potenziale dell’Italia, ora poco più che stagnante.
Nella controstoria, la crescita del prodotto potenziale sarebbe invece rimasta in prossimità dei
valori, peraltro modesti, raggiunti nel 2007 (di poco inferiori all’1 per cento). L’impatto sul prodotto
potenziale, pur non trascurabile, è comunque notevolmente inferiore a quello che la crisi ha avuto
sull’attività economica, corroborando l’ipotesi che gran parte della contrazione dell’economia italiana
nel biennio 2008-2009 sia di natura temporanea35.
A sostegno di questo risultato, basato essenzialmente su una stima di natura statistica, si possono citare
i seguenti elementi: (i) a differenza di quanto accaduto in altre economie, negli anni precedenti alla crisi
in Italia non sembra essersi verificata una sopravvalutazione delle attività né un’espansione del sistema
finanziario tali da rendere necessaria una forte riallocazione di risorse tra settori; (ii) le riforme
del mercato del lavoro introdotte a partire dalla metà degli anni novanta hanno incrementato in misura
non trascurabile la flessibilità delle imprese nel calibrare la combinazione di input di lavoro e capitale
34 Cfr. Bassanetti, Caivano e Locarno (2010).
35 È peraltro necessario esercitare particolare cautela nel valutare l’andamento del prodotto potenziale sulla base di
stime ottenute con filtri statistici, in ragione della loro sensibilità a valori anomali nei periodi prossimi alla fine del campione
(end-of-sample bias).
25
al mutare delle prospettive di domanda: alla fine del 2009 il margine intensivo di utilizzo dell’input di
lavoro (misurato dalle ore lavorate) era diminuito di quasi 5 punti percentuali rispetto all’inizio della
crisi, a fronte di una riduzione dell’occupazione pari a circa la metà (a titolo di confronto, nella recessione
del 1992-1993, l’occupazione e le ore lavorate erano diminuite in misura analoga, poco meno del
6 per cento); (iii) la sostanziale solidità del sistema bancario italiano sembra aver consentito un assorbimento
relativamente agevole dell’impatto della crisi finanziaria, contenendo quindi le perdite permanenti
di capacità produttiva; questa valutazione è in linea con l’impatto relativamente contenuto stimato
per i fattori finanziari interni (cfr. Par. 4.2). In direzione opposta, Bugamelli, Cristadoro e Zevi (2009)
suggeriscono che la crisi avrebbe investito l’economia italiana in una fase di profonda ristrutturazione
del sistema produttivo, rendendo particolarmente fragili le imprese ancora coinvolte in tale processo,
con possibili ricadute negative, nel medio periodo, sulle potenzialità del sistema produttivo italiano.
4.2 I canali di trasmissione della crisi
(i) La crisi importata
Il principale fattore sottostante alla caduta del PIL italiano sarebbe stato il crollo degli scambi internazionali.
Se nel periodo considerato essi fossero cresciuti come ipotizzato nella controstoria, l’attività
economica sarebbe risultata complessivamente superiore per oltre 7,5 punti percentuali di PIL. A questo
risultato avrebbe contribuito in misura significativa (oltre 2 punti percentuali) l’effetto di composizione.
36
Le esportazioni, pur continuando a risentire degli effetti delle consistenti perdite di competitività già
accumulate negli anni precedenti, sarebbero risultate superiori di oltre 35 punti percentuali. Di questo
andamento avrebbero beneficiato tutte le principali componenti della domanda aggregata. In particolare,
l’accumulazione di capitale sarebbe risultata maggiore per quasi 15 punti. La perdita dei consumi
sarebbe stata quasi azzerata, in ragione di un deterioramento assai più lieve delle condizioni del mercato
del lavoro.
Un parziale freno all’attività economica sarebbe provenuto da una dinamica dei prezzi più accentuata,
riconducibile principalmente al calo meno pronunciato delle quotazioni delle materie prime, accompagnata
da un leggero peggioramento della competitività all’esportazione delle nostre merci.
36 Si vedano il Paragrafo 3.2 e l’Appendice B.
26
(ii) I fattori finanziari interni
Si stima che i fattori finanziari interni abbiano gravato in misura relativamente contenuta ma non trascurabile
sull’economia italiana, determinando nel 2009 una perdita cumulata di PIL pari all’1,3 per
cento, in gran parte riassorbita nell’anno successivo (per il quale si stima che l’impatto negativo dei fattori
finanziari interni si riduca allo 0,5 per cento; Fig. 1). Alla più elevata dinamica del prodotto nella
controstoria avrebbe contribuito in gran parte la migliore evoluzione degli investimenti che, sospinti
soprattutto dal più favorevole andamento del credito, sarebbero risultati superiori a quelli dello scenario
di crisi per circa 1 punto percentuale alla fine del 2010 (oltre 8 alla fine del 2009)37. Anche l’effetto dei
minori costi di finanziamento delle imprese, riconducibili a una dinamica dei premi per il rischio in linea
con l’esperienza storica, sarebbe stato significativo. L’impatto sui consumi sarebbe stato contenuto
nonostante la minore riduzione sia dell’occupazione sia delle retribuzioni
(iii) Gli effetti ricchezza
Poco rilevanti sarebbero stati gli effetti di ricchezza riconducibili alle perdite in conto capitale sui mercati
azionari. La caduta delle quotazioni avrebbe prodotto effetti limitati sui consumi e sul PIL (circa 2
decimi di punto per i primi, circa 1 decimo per il secondo, cumulativamente alla fine del 2010) e non
avrebbe influenzato l’evoluzione delle altre componenti della domanda aggregata. La ragione di un impatto
così limitato è essenzialmente da ricercarsi nel peso relativamente modesto della componente azionaria
nella ricchezza complessiva detenuta dalle famiglie italiane.
(iv) La crisi da sfiducia
L’eccezionale aumento dell’incertezza e il connesso calo della fiducia sperimentato nel 2008-2009
hanno frenato l’attività economica in misura relativamente contenuta, sia pure non trascurabile. Il costante
peggioramento delle prospettive di domanda avrebbe scoraggiato l’accumulazione di capitale,
che, nella controstoria, sarebbe risultata più elevata di circa il 4 per cento. Le prospettive occupazionali
sarebbero state uno dei principali fattori sottostanti alla riduzione dei consumi delle famiglie italiane, le
quali avrebbero incrementato sensibilmente il risparmio a scopo precauzionale. In assenza di tale fattore,
i consumi sarebbero risultati superiori per quasi 1,5 punti percentuali, cumulativamente nel periodo
37 Per il 2008 le nostre stime sono in linea con i risultati di Gaiotti (2010).
27
considerato. Nel complesso, l’effetto della crisi di sfiducia sul PIL sarebbe prossimo a -1,5 punti percentuali,
quello sull’occupazione avrebbe raggiunto il mezzo punto.
(v) Le misure di politica economica
La risposta delle politiche economiche ha mitigato l’impatto della crisi sull’economia italiana in misura
considerevole.
In assenza di una politica monetaria fortemente espansiva a partire dall’ottobre del 2008, i fattori di
crisi avrebbero provocato una contrazione del prodotto assai maggiore di quella che si è effettivamente
verificata (per quasi 2 punti percentuali); la riduzione dei tassi di interesse da parte della Banca centrale
europea avrebbe reso meno severa per circa 6 punti percentuali la caduta degli investimenti, per oltre 2
quella dei consumi38. Tali valutazioni sottostimano gli effetti della politica monetaria in quanto non includono
una quantificazione diretta dell’impatto delle misure non convenzionali.
Anche la politica fiscale ha contribuito ad attenuare l’impatto della crisi, sostenendo il prodotto per oltre
1,5 punti percentuali; si stima che oltre due terzi dell’effetto siano ascrivibili alla sola componente
ciclica (derivante dall’operare degli stabilizzatori automatici). Lo stimolo impresso dagli interventi discrezionali,
in gran parte esauritosi entro il 2009, avrebbe mitigato la caduta del prodotto per circa
mezzo punto percentuale complessivamente. Ne avrebbero beneficiato soprattutto i consumi, grazie ai
contributi per la rottamazione di autoveicoli inquinanti e alle misure di sostegno al reddito delle famiglie,
e gli investimenti, grazie alle agevolazioni della Tremonti-ter. Come per la politica monetaria, anche
in questo caso l’impatto complessivo potrebbe essere sottostimato, dal momento che non si tiene
conto degli interventi del Ministero dell’Economia a sostegno del sistema bancario.
L’impatto dell’interazione tra i vari fattori (i)-(v) sarebbe stato trascurabile.
38 Anche le importazioni sarebbero state significativamente maggiori (per circa 2,5 punti percentuali), mentre
l’impatto sulle esportazioni sarebbe stato nullo, implicando un effetto netto negativo sul contributo degli scambi con l’estero
alla dinamica del prodotto. Peraltro, il disegno dello scenario controfattuale relativo alle politiche economiche trascura gli
effetti che il tasso di interesse di policy avrebbe prodotto sulle altre economie dell’area dell’euro, comportando perciò presumibilmente
una sottostima dell’impatto sulle nostre esportazioni delle misure di politica economica e una corrispondente
sovrastima di quello della “crisi importata”.
Fig. 1 – Impatto dei fattori di crisi e delle politiche economiche
(deviazioni percentuali rispetto alla baseline senza crisi)
Fig. 1 (cont.)
5. Conclusioni
L’esplosione della crisi finanziaria nell’estate del 2007 ha messo in moto forze recessive che, a partire
dalla fine del 2008, si sono abbattute sull’economia mondiale con una violenza inusitata. Le contrazioni
del prodotto dei paesi industrializzati e degli scambi internazionali hanno raggiunto dimensioni straordinarie,
ancorché fortemente concentrate nel tempo. A sventare ─ prima ─ un possibile collasso del sistema
finanziario e a contenere ─ poi ─ la caduta dell’attività ha contribuito la risposta delle politiche
economiche, anch’essa straordinaria per la rapidità e l’entità della reazione; per la varietà degli strumenti
impiegati; per il grado di coordinamento raggiunto tra autorità e tra paesi.
Le simulazioni controfattuali presentate in questo lavoro permettono di valutare la rilevanza quantitativa
di ciascuno dei principali canali attraverso i quali la crisi finanziaria e la recessione globali si sono
trasmesse alla nostra economia, nonché l’efficacia della risposta delle politiche economiche nello scongiurare
sviluppi ancor più gravi.
I risultati indicano che: nel triennio 2008-2010 i fattori di crisi hanno complessivamente sottratto 10
punti percentuali di crescita al prodotto (con una forte concentrazione nel 2009); le politiche economiche
e i meccanismi di stabilizzazione automatica hanno arginato circa un terzo di quegli effetti negativi;
per quasi tre quarti, la recessione è di natura “importata”; per circa un sesto essa è attribuibile ai
“fattori finanziari interni” e alla “crisi da sfiducia”; gli altri canali considerati hanno giocato un ruolo
pressoché marginale.
In una prospettiva di più lungo periodo, la crisi sembra avere inciso in misura non trascurabile anche
sulle potenzialità di sviluppo della nostra economia. Si stima che il ritmo di crescita del prodotto potenziale
si sia ridotto a circa lo 0,3 per cento, un valore inferiore di oltre mezzo punto percentuale a quello
della controstoria.
In futuro, anche tramite confronti con indagini analoghe a quella condotta in questo lavoro che prevedibilmente
saranno condotte con altri strumenti e per altri paesi, sarà possibile sia verificare la robustezza
delle conclusioni qui raggiunte sia individuare a quali caratteristiche strutturali delle diverse economie
possano essere attribuite le differenze osservate nelle risposte alla crisi.
31
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32
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33
Appendici
Appendice A. Modelli ausiliari
Nel modello econometrico trimestrale della Banca d’Italia, le principali variabili internazionali sono
esogene. Per disegnarne gli andamenti negli scenari controfattuali si è fatto ricorso a un modello autoregressivo
vettoriale (VAR) che include tra le variabili endogene i prezzi dei manufatti praticati dai
principali competitori esteri dell’Italia, i deflatori delle importazioni di materie prime non energetiche
(beni agricoli e metalli), il prezzo del petrolio, il tasso di cambio tra dollaro ed euro e la domanda mondiale.
Nel ricostruire le controstorie, la dinamica degli scambi internazionali viene vincolata a riprodurre
quella media degli ultimi venti anni precedenti la crisi; le altre variabili vengono invece determinate
endogenamente dal VAR. Le variabili esogene sono i tassi di interesse a breve e a lungo termine italiani
e internazionali. Il numero massimo di ritardi è pari a 4.
L’evoluzione del tasso di interesse di policy viene modellata ricorrendo a una equazione di tipo “regola
di Taylor”, in cui il tasso di interesse dipende dalla dinamica dei prezzi, dall’output gap e dal proprio
valore ritardato. L’equazione è stata stimata impiegando dati trimestrali compresi tra il primo trimestre
del 1991 e il quarto trimestre del 2007.
Appendice B. La quantificazione dell’effetto di composizione sulle esportazioni italiane
L’equazione delle esportazioni di beni non agricoli e non energetici del METBI è specificata come segue:
XG
X X
Gt Gt Gt t t p
p een
x x x d d
*
5
*
4 1
*
1 1 2 1 3 1 =a +b +b D +b +b D +b - - - - .
dove: xG rappresenta le esportazioni di beni diversi da quelli agricoli ed energetici; d* la domanda mondiale;
XG
X X
p
p een *
la competitività di prezzo delle merci italiane (misurata con il rapporto tra i prezzi dei
competitori esteri espressi in euro e il deflatore
delle esportazioni di beni non agricoli e non energetici).
Nel corso della fase più acuta della
crisi, tra la fine del 2008 e la metà del 2009,
l’equazione ha mostrato una sistematica tendenza
a sovrastimare le nostre vendite
all’estero: gli errori di simulazione statica nel
periodo compreso tra il terzo trimestre del 2008
e il secondo del 2009 sono tutti negativi (linea
continua azzurra nella Fig. B.1). I soli andamenti
della domanda e dei prezzi relativi sono
quindi insufficienti a dare conto della caduta
delle esportazioni italiane nel periodo in esame.
Data la composizione settoriale delle esportazioni
italiane, è possibile che il crollo delle nostre vendite all’estero rifletta anche modifiche nella composizione
del commercio mondiale, conseguenti all’eccezionale caduta degli investimenti in tutte le economie
sviluppate. La dinamica dell’accumulazione di capitale nei paesi dell’OCSE (linea tratteggiata
rossa nella Fig. B.1) mostra effettivamente un elevato grado di comovimento con i residui
dell’equazione delle esportazioni, confermato da stime econometriche. Tali stime sono state utilizzate
Fig. B.1: Residui dell’equazione delle esportazioni e crescita degli investimenti
-0.08
-0.06
-0.04
-0.02
0
0.02
0.04
2005 2006 2007 2008 2009
Residuo dell'equazione delle esportazioni
Crescita degli investimenti dell'OCSE
34
per calibrare i residui nelle simulazioni controfattuali, nell’ipotesi di una dinamica degli investimenti
dei paesi dell’OCSE tale da non modificare la composizione degli scambi mondiali.
Appendice C. La quantificazione degli effetti dei vincoli all’offerta di credito sulla dinamica
degli investimenti
Gli effetti dei vincoli all’offerta di credito sulla dinamica degli investimenti sono stati quantificati ricorrendo
a diversi approcci. Oltre a utilizzare le valutazioni già disponibili in letteratura, abbiamo prodotto
una stima seguendo una metodologia simile a quella impiegata in una versione precedente del modello
econometrico della Banca d’Italia per tenere conto di vincoli amministrativi all’espansione dei prestiti
(vigenti in Italia fino al 1988), a sua volta ispirata a Fair e Jaffee (1972). Secondo tale approccio, esiste
una relazione positiva tra il prezzo relativo di un bene e l’eccesso di domanda, non osservabile, che si
produce in presenza di vincoli quantitativi all’offerta. La relazione ipotizzata da Fair e Jaffee è formalizzata
dalla seguente equazione:
D = × -
t -1
s
t
s
t
d
t Q
Q Q
P g con g>0, (C.1)
in cui Pt rappresenta il prezzo relativo del bene, Qd
t la quantità domandata e Qs
t la quantità offerta. Con
vincoli all’offerta (fissata al livello Qs=Q ), si produrrà un eccesso di domanda per ogni prezzo inferiore
a quello per cui la quantità domandata eguaglia la quantità (fissa) offerta. Tale eccesso di domanda
produrrà pressioni sui prezzi relativi, che tenderanno a salire.
Nel nostro caso, assumiamo che il prezzo relativo nel mercato del credito bancario sia colto dallo spread
tra il tasso di interesse medio sui prestiti bancari a breve termine e il tasso di interesse overnight sul
mercato monetario. L’equazione corrispondente alla (A.1) è quindi la seguente:
t-1
t
d
t
1
t
t L
L L
L
CR
r
-
D = × = ×
-
g g
t
con g’>0, (C.2)
in cui rt è lo spread sui tassi bancari, CRt è la quantità di credito che non viene soddisfatta (l’eccesso di
domanda nel mercato del credito) Ld
t la domanda (non osservabile) di prestiti e t L l’offerta di credito.
Quest’ultima è pari ai prestiti effettivamente concessi. Ne discende che la quantità di prestiti domandati
e non soddisfatti può essere stimata, riordinando i termini dell’equazione (C.2), come segue:
t t t 1 CR = × Dr × L -
g
1
(C.3)
Per identificare i periodi in cui sono stati
presenti restrizioni al credito è stata utilizzata
la quota netta di banche italiane che,
dal terzo trimestre del 2007, hanno indicato
nella Bank Lending Survey (BLS) una restrizione
delle condizioni di concessione dei
prestiti.
La stima della quantità di prestiti domandati
e non erogati così ottenuta è stata infine utilizzata
quale variabile esplicativa
nell’equazione del METBI che descrive
l’evoluzione degli investimenti in attrezzature,
macchinari e mezzi di trasporto, consentendo
quindi di misurarne l’impatto
sull’attività economica. Per valutare la ro-
Fig. C.1 – Impatto sul prodotto interno lordo dei vincoli all’offerta di credito (1)
(deviazioni percentuali rispetto a una simulazione di partenza senza vincoli)
-2.5
-2
-1.5
-1
-0.5
0
2007 III 2008 III 2009 III 2010 III
Fonte: elaborazioni su dati Banca d'Italia e ISTAT
(1) La stima dell’impatto dei vincoli all'offerta di credito è quella riportata in Panetta e Signoretti (2010). Per ciascun trimestre il
margine superiore e il margine inferiore dell'area rappresentano rispettivamente la stima massima e minima. La linea rappresenta la
stima mediana.
35
bustezza dei risultati, sono state realizzate diverse stime alternative: da un lato, si è replicato la metodologia
qui descritta, modificandone però di volta in volta alcuni elementi (per esempio, il periodo di stima);
dall’altro, sono state impiegate, nell’equazione degli investimenti del METBI, misure alternative
di vincoli all’offerta di credito, basate sugli approcci di Casolaro, Eramo e Gambacorta (2006) e Del
Giovane, Eramo, Nobili (2009). La Figura C.1 sintetizza i risultati. L’effetto dei “fattori finanziari interni”
riportato nel testo fa riferimento all’impatto mediano delle diverse stime (-1,2 per cento per la
dinamica del PIL nel 2009, con un graduale miglioramento nel corso del 2010).
Appendice D. La quantificazione degli effetti della crisi di sfiducia
Le equazioni degli investimenti in attrezzature, macchinari e mezzi di trasporto e degli investimenti in
costruzioni non residenziali presenti nel METBI includono tra le variabili esplicative indicatori del clima
di fiducia delle imprese. In questi casi, per stimare gli effetti attribuibili alla “crisi da sfiducia” sono
state realizzate simulazioni controfattuali nelle quali il valore di quegli indicatori è stato mantenuto invariato
sui livelli pre-crisi.
Le equazioni del METBI che descrivono i
comportamenti di consumo non includono invece
alcun indicatore del clima di fiducia delle
famiglie, tra le cui componenti compare la
percezione delle prospettive occupazionali.
Pertanto, variazioni di quest’ultima, non influendo
sulle decisioni di spesa, si riflettono
sulla dinamica dei residui di stima. Le Figure
D.1 e D.2 riportano gli errori di simulazione
statica delle equazioni relative al consumo di
beni durevoli e a quello economico assieme
all’andamento delle attese di disoccupazione
rilevate dall’ISAE (invertite di segno per far
risaltare il comovimento con i residui).
L’equazione del consumo di beni durevoli commette errori di sovrastima sistematici (Fig. D.1, linea
tratteggiata rossa) a partire dall’inizio del 2007. L’andamento delle attese di disoccupazione (linea continua
azzurra) segue un andamento simile, con un lieve sfasamento temporale.
Gli errori di previsione dell’equazione del consumo
economico di beni non durevoli sono sistematicamente
negativi a partire dalla metà del 2008
(segnalando quindi una analoga tendenza alla sovrastima).
Il comovimento con le attese di disoccupazione
è particolarmente marcato (Fig. D.2).
Una verifica econometria conferma la significatività
statistica delle relazioni suggerite dalle figure.
Peraltro, poiché non si dispone delle aspettative di
disoccupazione per la parte finale dell’orizzonte
di simulazione, queste ultime sono state ricostruite
sulla base della loro correlazione con una misura
dell’unemployment gap, data dal rapporto tra il
tasso di disoccupazione e una sua media mobile di
8 termini.
Fig. D.2 – Errori di simulazione statica dell’equazione del consumo economico
e attese di disoccupazione
-0.018
-0.009
0.000
0.009
0.018
2005 2006 2007 2008
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