Crisi da Sovraindebitamento L.n.3/2012

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Il carry trade, un perfetto sconosciuto fiscale 

 

In cosa consiste il carry trade?

La speculazione in questi ultimi tempi la sta facendo da padrona sui mercati finanziari, venendo additata da molti come la causa di tutti i mali che stanno colpendo l'economia mondiale. Siamo passati dai derivati, alle materie prime, dall'effetto leva al carry trade, scoprendo un mondo che finora era sommerso, o meglio era conosciuto solo agli addetti ai lavori.


Ma cosa intendiamo con il termine speculazione? La speculazione è una forma di investimento in cui l'attività di previsione è puramente soggettiva: l'investitore ha certe aspettative che, se realizzate, generano un utile, altrimenti una perdita. In poche parole è un'operazione che mira a ottenere il massimo guadagno, cercando per lo più di trarre un utile dalla variazione attesa dei prezzi rispetto a quelli di acquisto.


Concentriamoci ora su una delle tante operazioni speculative: il carry trade. Il carry trade consiste nel prendere a prestito denaro in una data valuta in paesi dove il costo del denaro è basso, per impiegarlo in paesi dove il rendimento degli investimenti denominati in altre valute è maggiore, in modo sia da ripagare il debito contratto, sia da ottenere un guadagno con la medesima operazione finanziaria. Naturalmente banche e fondi dovranno scegliere monete che godono di un cambio stabile nel tempo e investimenti a basso rischio, quali titoli di Stato.

Si tratta di una pratica molto diffusa che presenta possibilità di guadagno particolarmente elevate. Non dobbiamo dimenticare però, che come ogni operazione finanziaria, comporta dei rischi: in questo caso il rischio è di cambio. Negli ultimi anni, ma soprattutto all'inizio del nuovo millennio, ad andare di moda era lo "yen carry trade", visti i tassi d'interesse piuttosto bassi in Giappone e il tasso di cambio dollaro/yen stabile, che permise a molti investitori di lucrare sul differenziale tra i tassi d'interesse di due paesi. Ma in che modo? Andiamo passo passo.

In primis gli investitori presero a prestito denaro in yen, naturalmente ad un prezzo esiguo visto il basso livello del costo del denaro. In secundis convertirono le somme in dollari per investirle in titoli di stato o altri strumenti finanziari a rischio nullo che presentavano un rendimento del 3% o maggiore. Una volta scaduto il titolo di stato, il denaro recuperato, accresciutosi del rendimento, veniva riconvertito da dollari in yen e utilizzato per ripagare il debito contratto in Giappone. Il guadagno dell'investitore stava nella differenza tra il rendimento dell'investimento e il costo del finanziamento. 

 

 

Il rischio del carry trade sta nell'instabilità del tasso di cambio

Ma allora dove sta il rischio? Prendendo come esempio le operazioni in yen, cosa sarebbe accaduto se prima della scadenza del bond la valuta nipponica si fosse rivalutata per più della differenza del rendimento? L'operazione, in questo caso, sarebbe finita con una perdita a causa dell'instabilità del tasso di cambio che non avevamo previsto. Questa situazione potrebbe presentarsi, ad esempio, quando gli speculatori iniziano a perdere fiducia nelle operazioni di carry trade poste in essere. Mano a mano che gli operatori escono dalle loro posizioni, si riducono i nostri profitti derivanti dai differenziali, arrivando ad annullarsi e persino a trasformasi in perdite.


La cosa da non sottovalutare in questo investimento è dunque la stabilità del cambio, visto poi che massicce operazioni di carry trade possono influenzare pesantemente l'andamento delle valute. Se gli investimenti vengono fatti su larga scala, infatti, inizialmente il cambio tende a deprimersi, esaltando anche la convenienza dell'operazione, per poi apprezzarsi nella fase finale.


A mettere a rischio le operazioni di carry trade ci sono anche gli aumenti imprevisti dei tassi d'interesse nei paesi dove si è preso a prestito il denaro, che comportano un apprezzamento del tasso di cambio. Tale ipotesi rispecchia pienamente la situazione che sta vivendo il Giappone, dove le prospettive di un rialzo del tasso d'interesse stanno favorendo il recupero dello yen nei confronti delle principali divise internazionali, mettendo fine alle operazioni di carry trade. 

 

Dove trova spazio oggi il carry trade?

Negli ultimi tempi la scelta dei Paesi con bassi tassi di interesse è molto ampia, basti pensare all'America e all'Inghilterra che hanno tassi fermi attorno allo zero. Tra i Paesi che presentano rendimenti di titoli di Stato elevati, ci sono invece Cina, Brasile, India e Malesia, ovvero paesi che stanno cercando di emergere economicamente.

Recentemente anche l'Europa si è trovata al centro di possibili operazioni di carry trade, specie dopo la maxi iniezione di liquidità della BCE al sistema finanziario del 29 febbraio scorso che ha seguito il successo della prima effettuata in dicembre a tassi eccezionalmente bassi. Molte banche che hanno aderito alla LTRO della BCE, infatti, hanno annunciato che utilizzeranno tale denaro per finanziare operazioni di carry-trade che riguardino l'acquisto di titoli di stato italiani.


Secondo il presidente della BCE Mario Draghi questa operazione ha evitato un credit crunch in larga scala e permetterà alle banche di rafforzare ulteriormente il proprio capitale. In una intervista Andrea Beltratti, presidente del CdG di Intesa SanPaolo, spiegando che la nuova liquidità, ottenuta a un tasso di interesse dell'1%, verrà in parte utilizzata "per una strategia di investimento profittevole relativa a titoli di stato italiani" con scadenza a tre anni o meno. Secondo Beltratti è positivo "avere più risorse finanziarie bloccate per tre anni. Ciò ci sta dando una polizza assicurativa contro ogni shock di liquidità". 

 

 

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