Crisi da Sovraindebitamento L.n.3/2012

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Le banche italiane ed europee vanno incontro nell’anno nuovo a una ingente ondata di ricapitalizzazioni

Le banche italiane ed europee vanno incontro nell’anno nuovo a una ingente ondata di ricapitalizzazioni. Molti, a dire il vero, sostengono che sia un errore, e polemizzano con l’Eba, l’autorità europea del credito.

Hanno ragione? Come sempre, dipende dalle scuole di appartenenza, dai punti di vista, e da quali interessi si giudichino prioritari. Qui si ritiene che abbiano torto, i critici.

Se dopo i tre terribili trimestri successivi al crac Lehman Brothers fino a metà 2009 avessimo avuto bisogno di un’ulteriore conferma della velocità di trasmissione del canale credito-economia reale al verificarsi di una crisi di solvibilità degli intermediari finanziari, essa è puntualmente venuta negli ultimi sei mesi, quando le banche europee si sono trovate nel tornado del vorticoso selling da parte dei mercati al crescere del rischio di tenuta dell’euro.

Al crescere di attivi che diventano illiquidi nei propri attivi, le banche non si fidano più reciprocamente e non si prestano denari a breve; cadono in verticale di capitalizzazione; lasciano sui conti della banca centrale sempre più ingente liquidità, pur messa loro a disposizione dalla rapida estensione delle facilities da parte del regolatore.

Risultato: si tagliano gli impieghi a famiglie e imprese, e il moltiplicatore monetario a onta della generosa offerta monetaria diventa sempre più negativo. La recessione accelera e diventa più profonda.

Un quadro drammatico. L’eurorecessione rischia di essere del meno 2% per l’Italia. In tale cornice, appare sbagliata la decisione Eba di vincolare le banche al mark to market dei bond sovrani mentre analogo criterio non si estende agli asset tossici “Euro3″, salvaguardando le banche franco-tedesche.

Non è sbagliato, invece, chiedere alle banche di ricapitalizzarsi, alzando non solo il Tier1, ma dotandosi inoltre di appropriati e possibilmente pingui cuscini aggiuntivi di patrimonio ad alta solvibilità.

L’esperienza dall’estate 2008 a oggi va in una direzione: la crisi di solvibilità da eccesso di consumi privati e pubblici finanziati a debito vedrà interrotta la sua più temibile capacità di far danno all’economia reale attraverso il credito solo quando banche e intermediari finanziari sistemici saranno adeguatamente iper-capitalizzati rispetto ai tempi ordinari.

La scuola del “sostegno immediato nella crisi da parte della domanda pubblica e delle pubbliche autorità” (chiamiamola volgarmente keynesiana) postula che per evitare recessione occorre mettere mano allo stimolo immediato della spesa pubblica invece che alle riforme dell’offerta che hanno effetti solo nel medio-lungo periodo.

Per le banche ritiene che la ricapitalizzazione debba avvenire quando gli azionisti abbiano messo fieno in cascina, cioè negli anni di crescita e non nelle fasi di calo delle attività e di forte compressione di utili, margini e dividendi. Di conseguenza, i regolatori monetari devono pensare a offrire la più ingente liquidità a costi se possibile negativi, e a garantire che le banche non dovranno né fallire né ingenerare sfiducia.

Di qui la critica sulle richieste di nuovo capitale da parte Eba, mentre la Bce di Draghi ottempera alla richiesta di liquidità straordinaria.

È ovvio che a masticare amaro e a criticare, sia pure a bassa voce, siano i manager bancari che guidano gli istituti chiamati a ricapitalizzare, nonché i loro azionisti. I manager possono perdere facilmente il posto, com’è capitato in Unicredit e sta capitando in Mps, gli azionisti possono non avere più molti margini per mettere mano al portafoglio.

Soprattutto quando poi si tratta di azionisti particolari come le fondazioni: la loro natura di centauri pubblico-privati li rende un unicum mondiale, con portafogli per metà “dovuti” e vincolati alla natura pubblico-territoriale, e per l’altra metà e spesso più che per la metà già pesantemente impegnati nel controllo di fatto e di diritto di banche alle quali mai e poi mai si vorrebbe rinunciare.

Se però, come noi, pensate che la ricapitalizzazione sia giusta proprio ora che le cose vanno male, allora la conseguenza è che il regolatore e le pubbliche autorità devono accompagnare le banche a ricapitalizzarsi anche se questo dovesse comportare una rilevante diluizione dei soci di controllo attuali.

Tradotto, visto che in Italia i capitali liberi privati non abbondano, significa essere disposti a cercarli laddove ve ne sono e di rilevanti, cioè all’estero, molto meglio se fuori dall’euroarea, come hanno scritto sul Corriere della sera Francesco Giavazzi e Alberto Alesina.

Ha torto sia chi propone – è stato fatto, riservatamente, con analisi e proposte consegnate al viceministro Grilli – l’intervento del capitale pubblico attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, sia chi tenta l’impossibile perché Bankitalia e governo premano sull’Eba perché rinvii le ricapitalizzazioni.

Sarebbe molto interessante sapere come la pensi in proposito la Banca d’Italia. A via Nazionale spetta un ruolo essenziale attraverso la moral suasion, indirizzando procedure e modalità delle ricapitalizzazioni. Nel pre riforma del 2005 avremmo detto anche gli esiti. Ora l’opacità “all’orecchio del regolatore” è di molto attenuata, ma in tempi di crisi i no e i riservati di Bankitalia sono decisivi.

Viene al pettine un nuovo capitolo di quel particolarissimo processo di consolidamento conosciuto dal sistema bancario tra anni Novanta e Duemila: le diluizioni oggi possono portare a capitale fresco e solido che non smonta testa e guida italiana di grandi banche nazionali. Mentre la difesa a oltranza degli assetti proprietari attuali comporta il rischio che per fare cassa si debbano assai presto cedere a stranieri succosi asset internazionali e italiani.

 

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