Crisi da Sovraindebitamento L.n.3/2012

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Usura bancaria nei contratti di finanziamento

di avv.Luigi Benigno Membro dell’Associazione Consulenti Tecnici di Parte

Presidente A.I.S.C. Associazione Intermediari Specialisti del Credito

Negli ultimi anni si sente sempre più spesso parlare di usura bancaria. Di cosa si tratta e quando è possibile agire per far valere la nullità parziale o totale di un contratto di finanziamento? Il reato di usura è disciplinato dall’art.644 c.p. novellato dalla L.108/1996. In sintesi la legge pone un limite al costo del denaro imprestato dalle banche e società finanziarie oltre il quale il mutuante commette un fatto illecito. Tale limite è oggettivamente individuabile attraverso il tasso soglia di usura, calcolato con una maggiorazione dei tassi effettivi medi praticati dalle banche nel trimestre di riferimento per operazioni e prodotti di credito omogenei. Sin qui nulla da eccepire in quanto il dettato normativo sembra essere abbastanza chiaro. Sono stati posti problemi interpretativi, sollevati dopo la pronuncia di alcune sentenze di legittimità e di merito, in quanto ciò che rileverebbe ai fini dell’usura è il costo complessivo del credito in ragione di anno, il cosiddetto Tasso annuale effettivo globale in sigla TAEG. Il TAEG misura l’effettivo costo del credito a carico del finanziato e comprende tutti gli interessi, le spese, gli oneri ad esso connessi ad eccezione delle imposte e delle tasse riversate all’amministrazione finanziaria. La sentenza della Cassazione nr. 350/2013 è stata interpretata, anche da alcuni giudici, come uno spartiacque tra coloro che sostengono che per determinare il costo complessivo del credito occorre conteggiare e sommare il tasso d’interesse corrispettivo con il tasso d’interesse moratorio, e coloro che invece negano tale additività nella verifica. In effetti, a parere di chi scrive, non è stata fatta sufficiente chiarezza e le sorti di ciascuna controversia dipendono dall’excursus logico giuridico affidato a ciascun giudice, da cui derivano pronunce spesso contraddittorie. Si auspica, pertanto, che la Suprema Corte di Cassazione possa pronunciarsi in merito. Dal punto di vista logico giuridico e matematico sarebbe sin troppo semplicistico sostenere che per la verifica dell’usurarietà del tasso d’interesse applicato ad un contratto di finanziamento basterebbe sommare il tasso di interesse corrispettivo e il tasso di mora. Questa costruzione potrebbe indurre in errore e produrre risultati, anche processuali, che rischierebbero di danneggiare la parte finanziata. Gli interessi corrispettivi costituiscono il prezzo ed il compenso (spread) pattuito tra finanziatore e finanziato e la loro naturale funzione è quella di rendere alla banca i ricavi d’impresa nonché il rischio di credito condensato nello spread; questo differenziale è commisurato spesso al merito creditizio di ciascun finanziato in quanto racchiude il rischio di insolvenza che, proprio come funziona il sistema assicurativo con la legge dei grandi numeri, viene spalmato tra migliaia di clienti finanziati e la somma degli spread applicati dovrebbe compensare le eventuali perdite. Una sorta di assicurazione interna del rischio a presidio di patologie che dovessero manifestarsi durante la vigenza del contratto. L’interesse applicato in caso di mora, quindi di inadempimento della maggiore obbligazione del finanziato cioè il pagamento di ciascuna rata alla scadenza convenuta, costituisce un compenso relativamente alla mancata disponibilità della rata non incassata; quindi si riferisce ad un momento patologico del contratto che può essere temporaneo oppure definitivo (dissesto finanziario per perdita d’impiego, morte, fallimento etc); in questo caso il tasso di mora, anche al fine di disincentivare il ritardo nel pagamento della rata, è spesso stabilito in un tasso maggiore del tasso corrispettivo e ciò per due ordini di motivi; il primo che va applicato alla sola rata scaduta e decorre dal momento della scadenza ed il secondo trova una sua logica quale deterrente per indurre il finanziato al rispetto delle obbligazioni contrattuali assunte. Un esempio potrà semplificare la comprensione della funzione del tasso di mora che si ribadisce è un costo eventuale ed accessorio e che tale condizione si verifica nella fase patologica del rapporto di credito: La Banca di … eroga un mutuo fondiario per un importo di €. 95.000 a Tizio concordando, anche in relazione alla capacità di rimborso, un piano di ammortamento condensato in 300 rate mensili ad un tasso d’interesse fisso (tasso annuale nominale) pari al 5,12% con una rata mensile di €.562,00 composta di quota capitale e quota interessi da rimborsarsi con il sistema di ammortamento graduale del capitale (alla francese); supponiamo che il Taeg, comprensivo delle spese, oneri etc sia pari al 5,24% mentre il tasso soglia di usura del periodo di riferimento sia pari al 6,63%. È facilmente intuibile che in questo caso il Taeg, cioè il costo complessivo del credito rientra nel limite della soglia di usura al momento della stipula del contratto per cui nessuna doglianza sul punto è possibile muovere alla banca. Nel contratto di mutuo la banca indica il tasso di mora sommando al Tan (5,12%) due punti percentuali; quindi il tasso di mora è pari al 7,12%. In questo caso, costituendo il tasso di mora a parere dello scrivente un unicum del tasso d’interesse complessivo, pur essendo applicabile solo in una eventuale fase patologica del rapporto, pur essendo applicabile non al capitale residuo ma alla rata scaduta impagata, esso deve giocoforza rispettare autonomamente il limite del tasso soglia di usura a nulla valendo la previsione della clausola di riserva; è del tutto illogico prevedere una clausola di riserva e imporre un tasso d’interesse che al momento della stipula del contratto contraddirebbe la sua funzione di riserva. In questo caso il tasso d’interesse di mora, debordando il presidio posto dalla legge, è nullo determinando la nullità dell’unico tasso d’interesse complesso previsto per la fase fisiologica e patologica del rapporto. Quindi ai sensi dell’art.1815 cc la clausola degli interessi è nulla per usurarietà pattizia, anche se solo promessa, e il finanziato non è più tenuto a corrispondere gli interessi corrispettivi con il diritto alla ripetizione di quelli già versati. Ma cosa succede se il tasso di mora non rileva autonomamente non debordando il tasso soglia di usura? Supponiamo che sempre nell’esempio supra il tasso di mora sia pari al tan + 1 punto percentuale quindi 6,12%, autonomamente rientrante entro il presidio del tasso soglia pari al 6,63%. Preliminarmente è opportuno specificare che l’usura è un reato istantaneo che si perfeziona con la sola promessa di interessi contra legem non essendo necessario che il prenditore incassi effettivamente il frutto dell’illecita pattuizione. Se ipotizziamo che il finanziato non onori sin dall’inizio dell’ammortamento il pagamento delle rate, il costo annuale complessivo del credito concesso lievita per effetto dell’applicazione degli interessi moratori. Quindi il Taeg contrattuale del 5,24% è destinato ad aumentare. Invero, alla scadenza di ciascuna rata, pur senza capitalizzare gli interessi di mora, ogni mese essi vengono conteggiati sulle rate scadute determinando un costo ulteriore a carico del finanziato. Tale costo rileva nella determinazione del costo effettivo annuale del credito. Permanendo tale situazione, si giungerebbe al terzo anno a registrare un Taeg superiore al tasso soglia di usura determinato alla stipula del contratto. In questo senso può sintetizzarsi la funzione additiva del tasso di mora al tasso corrispettivo, rilevabile attraverso il costo complessivo annuale del credito concesso considerando tutti costi ad eccezione delle imposte e delle tasse. Per semplificare non si è tenuto conto degli altri costi, della penale di estinzione anticipata etc.

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