Cos’è l’anatocismo bancario
L’anatocismo esprime un metodo di calcolo degli interessi per il quale gli interessi maturati secondo una certa periodicità, pattuita tra creditore e debitore, sono essi stessi produttivi di altri interessi, cioè sono sommati al capitale dato in prestito (capitalizzati) in modo tale da contribuire (insieme al capitale) a maturare altri interessi nei periodi successivi. Questo metodo di calcolo favorisce il creditore a discapito del debitore.
Un esempio chiarirà meglio il concetto.
tasso d’interesse: 10%
capitale iniziale: € 1.000,00
periodicità di liquidazione degli interessi: trimestrale
quando non c’è l’anatocismo si ha:
interesse trimestrale = (1.000,00 x 3 x 10)/1200 = € 25,00 quindi, ogni trimestre i 1.000 euro di capitale fruttano sempre € 25,00 con l’anatocismo:
interesse del primo trimestre = (1.000,00 x 3 x 10)/1200 = € 25,00
interesse del secondo trimestre = [(1,000,00 + 25,00) x 3 x 10]/1200 = € 25,625
interesse del terzo trimestre = [(1.025,00 + 25,625) x 3 x 10]/1200 = € 26,265625
e così via per gli altri trimestri …quindi, con l’anatocismo aumentano gli interessi da corrispondere al creditore
Questo fenomeno dell’anatocismo era proprio quello che accadeva alle liquidazioni degli interessi sui conti correnti bancari. Infatti, quasi tutte le Banche liquidavano gli interessi a debito del correntista con frequenza trimestrale, mentre liquidavano gli interessi a credito dello stesso solo con cadenza annuale. Ciò provocava un disallineamento nella maturazione degli interessi ed il conseguente fenomeno dell’anatocismo, perché venivano calcolati interessi su interessi.
La storia dell’anatocismo bancario
Il divieto dell’anatocismo (bancario e non) è sempre esistito nel nostro ordinamento giuridico in virtù dell’art. 1283 del Codice Civile. Tuttavia le Banche agivano legittimamente quando applicavano la sopraesposta metodologia di calcolo degli interessi sui conti correnti, perché tale comportamento consuetudinario era stato ampiamente avallato dalla giurisprudenza, almeno fino al momento in cui ha preso il via tutto il processo di revisione interpretativa delle norme riguardanti la fattispecie dell’anatocismo. Processo di revisione culminato con la definitiva sentenza del 4 novembre 2004, n. 21095, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella quale in sostanza si afferma l’illegittimità, anche per il passato, degli addebiti bancari per anatocismo.
Prima di questa famosa sentenza c’era stato comunque l’art. 25 del Decreto Legislativo n. 342/1999, comma 2, che, introducendo un nuovo comma all’art. 120 del D. Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), ha previsto la possibilità di stabilire, tramite un’apposita delibera del Cicr (Comitato Interministeriale per il Credito e Risparmio), le modalità ed i criteri di produzione degli interessi sugli interessi (anatocismo), maturati nell’esercizio dell’attività bancaria, purché fosse rispettata la stessa periodicità sia nel conteggio sui saldi passivi, sia su quelli attivi.
In sostanza, la volontà legislativa, trasfusa nel TUB, è nel senso della non illegittimità del comportamento delle Banche qualora queste provvedano a liquidare periodicamente non solo gli interessi maturati a loro favore, ma anche quelli a credito del correntista. È sufficiente il riconoscimento di questa reciprocità di trattamento e quindi la contabilizzazione sul conto corrente di eventuali interessi a credito della clientela, per essere in regola con le norme legislative disciplinanti il complesso fenomeno dell’anatocismo.
Il sigillo ufficiale al suddetto nuovo corso in tema di calcolo degli interessi bancari è stato poi apposto dalla sentenza del Cicr emanata il 9 febbraio 2000, la quale ha definitivamente fissato il momento di decorrenza dell’obbligo, a carico delle Banche, di riconoscere ai correntisti pari periodicità nella liquidazione degli interessi. Questo momento è venuto quindi a coincidere con la liquidazione del 30 giugno 2000 e vedremo quanto questa data sia di grandissima rilevanza ai fini del ricalcolo degli interessi anatocistici.
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